Il Papa chiude la Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani: l'amore vero non
annulla le legittime differenze, ma le armonizza in una superiore unità
Questo pomeriggio, alle 17.30, il Papa presiederà la celebrazione dei secondi Vespri
della solennità della Conversione di San Paolo Apostolo, nella Basilica di San Paolo
fuori le Mura a conclusione della Settimana di Preghiera per l’Unità dei Cristiani;
vi prenderanno parte rappresentanti delle altre Chiese e Comunità ecclesiali presenti
a Roma. Quest’anno il tradizionale appuntamento ecumenico si è svolto sul tema della
testimonianza comune dei cristiani: una dimensione costantemente ripresa dagli insegnamenti
di Benedetto XVI, come ci riferisce in questo servizio Sergio Centofanti:
Sulla via
dell’unità – afferma Benedetto XVI - il primato spetta senz’altro alla preghiera comune
dei cristiani. Ma prioritario è anche ascoltare insieme la Parola di Dio:
“Non
siamo infatti noi a fare o ad organizzare l’unità della Chiesa. La Chiesa non fa se
stessa e non vive di se stessa, ma della parola creatrice che viene dalla bocca di
Dio. Ascoltare insieme la parola di Dio … costituisce un cammino da percorrere per
raggiungere l’unità nella fede ... Chi si pone all’ascolto della parola di Dio può
e deve poi parlare e trasmetterla agli altri ... Dobbiamo chiederci: noi cristiani,
non siamo diventati forse troppo muti? Non ci manca forse il coraggio di parlare e
di testimoniare … Il nostro mondo ha bisogno di questa testimonianza; attende soprattutto
la testimonianza comune dei cristiani”. (Omelia del 25 gennaio 2007) La
conversione di San Paolo – spiega il Papa – ci indica la via verso l’unità, che è
dono di Cristo risorto:
“La conversione esige
il nostro sì …ma non è ultimamente un’attività mia, ma dono, un lasciarsi formare
da Cristo; è morte e risurrezione. Perciò san Paolo non dice: ‘Mi sono convertito’,
ma dice ‘sono morto’, sono una nuova creatura. In realtà, la conversione di san Paolo
non fu un passaggio dall’immoralità alla moralità – la sua moralità era alta -, da
una fede sbagliata ad una fede corretta – la sua fede era vera, benché incompleta
-, ma fu l’essere conquistato dall’amore di Cristo: la rinuncia alla propria perfezione,
fu l’umiltà di chi si mette senza riserva al servizio di Cristo per i fratelli. E
solo in questa rinuncia a noi stessi, in questa conformità con Cristo possiamo essere
uniti anche tra di noi, possiamo diventare ‘uno’ in Cristo. E’ la comunione col Cristo
risorto che ci dona l’unità”. (Omelia del 25 gennaio 2009) Non
c’è testimonianza comune senza l’amore, perché Dio è Amore: in Lui – sottolinea il
Pontefice - la diversità non è più ostacolo che ci separa, ma “ricchezza nella molteplicità
delle espressioni della fede comune”:
“L'amore
vero non annulla le legittime differenze, ma le armonizza in una superiore unità,
che non viene imposta dall'esterno, ma che dall'interno dà forma, per così dire, all'insieme.
È il mistero della comunione, che come unisce l'uomo e la donna in quella comunità
d'amore e di vita che è il matrimonio, così forma la Chiesa quale comunità d'amore,
componendo in unità una multiforme ricchezza di doni, di tradizioni. Al servizio di
tale unità d'amore è posta la Chiesa di Roma che, secondo l'espressione di sant'Ignazio
di Antiochia, presiede alla carità". (Omelia del 25 gennaio 2006)
La
testimonianza comune – afferma Benedetto XVI - “è la condizione perché la luce di
Cristo si diffonda più efficacemente in ogni angolo del mondo e gli uomini si convertano
e siano salvati”:
“Quanta strada sta dinanzi a
noi! Eppure non perdiamo la fiducia, anzi con più lena riprendiamo il cammino insieme.
Cristo ci precede e ci accompagna. Noi contiamo sulla sua indefettibile presenza;
da Lui umilmente e instancabilmente imploriamo il prezioso dono dell'unità e della
pace”. (Omelia del 25 gennaio 2006)