I vescovi indiani: "no” alla discriminazione sociale dei dalit cristiani
Lavoro e istruzione devono essere un diritto e un’opportunità per tutti i cittadini
indiani, senza discriminazioni e differenze di alcun genere: è quanto chiedono al
governo i vescovi indiani, lamentando un sistema che invece penalizza soprattutto
i dalit cristiani. In un comunicato inviato all’Agenzia Fides, la Conferenza Episcopale
dell’India ha sollevato per l’ennesima volta una questione di giustizia sociale, deplorando
la prassi di riservare privilegi nel campo del lavoro e dell’istruzione, sulla base
dell’appartenenza a una comunità religiosa. Al contrario, dicono i vescovi, urge offrire
ai dalit, cristiani e musulmani, pari opportunità d’istruzione e di accesso ai servizi
sociali essenziali, per una fondamentale questione di diritti sociali ed economici,
da garantire a tutti i cittadini indiani. La questione della parità dei diritti civili
per le minoranze cristiane e musulmane, specialmente per i dalit, da anni costituisce
un “cavallo di battaglia della Chiesa”: si chiede infatti l’abolizione di un Decreto
presidenziale del 1950 che esclude i “fuori casta” convertiti al cristianesimo dalle
quote riservate di posti di lavoro pubblici. La stessa norma – che colpisce anche
quanti sono diventati musulmani – non vale per i dalit indù, buddisti o sikh. Nel
dicembre 2009 la Commissione nazionale sulle minoranze religiose e linguistiche ha
aperto una storica discussione sulla proposta di modifica di quella legge, ritenuta
“iniqua e discriminatoria”: per la prima volta il tema è entrato nell’agenda di discussione
dal Parlamento indiano. Secondo gli esperti, bisognerebbe svincolare del tutto lo
status di fuori casta dalla religione e rendere la fascia sociale degli “Scheduled
Castes” completamente indipendente dal fattore religioso, come già avviene per le
“Scheduled Tribes”. (S.C.)