Panico ad Haiti per una nuova scossa. Salvata una neonata dalle macerie
Una nuova scossa di 6.1 gradi sulla scala Richter ha colpito Haiti, stamani, alle
6.00 locali, mezzogiorno in Italia. L’epicentro è stato localizzato a 22 km di profondità,
a 56 km da Port-au-Prince. La nuova scossa ha fatto crollare alcuni palazzi già danneggiati.
Nel Paese si continua scavare. Tra quanti sono stati estratti vivi c’è anche una neonata
di 15 giorni, trovata nello stesso letto in cui dormiva il pomeriggio del 12 gennaio,
il giorno della prima, drammatica scossa. Ma il bilancio delle vittime continua ad
aggravarsi. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
Il
governo di Haiti ha fornito nuovi dati, ancora provvisori: i morti sono almeno 75
mila, i feriti oltre 250 mila e più di un milione i senzatetto. Si continua a scavare
tra le macerie nella speranza di trovare qualcuno ancora in vita. Fino ad oggi sono
state salvate almeno 121 persone. La macchina degli aiuti e dei soccorsi continua
ad operare tra enormi difficoltà. Ammonta finora a più di un miliardo e 200 milioni
di dollari la somma raccolta dalla comunità internazionale per far fronte all’emergenza.
Il presidente di Haiti, René Preval, ha dichiarato che gli aiuti umanitari
sono arrivati “molto in fretta” e in misura “sempre crescente”, ma la difficoltà nel
coordinamento continua ad ostacolare i soccorsi. L’aeroporto, in particolare, è congestionato.
L’organizzazione umanitaria Medici Senza Frontiere denuncia che molti
feriti “stanno morendo a causa dei ritardi nell’arrivo delle forniture sanitarie”.
Per aggirare lo stallo dell’aeroporto di Port-au-Prince, inadeguato per l’ingente
numero di voli di questi giorni, l’esercito degli Stati Uniti ha paracadutato in poche
ore circa 14.000 razioni di cibo e 13.000 litri d’acqua. Il Consiglio di Sicurezza
dell’Onu ha votato infine a favore dell’invio di altri 3500 caschi blu. I militari
avranno il compito di mantenere l’ordine e di proteggere i convogli umanitari da atti
di sciacallaggio.
Sulla situazione ad Haiti ascoltiamo il presidente della
Conferenza episcopale del Paese, mons. Louis Kebreau, intervistato da Bernard
Decottignies:
R. – C’est
l’hécatombe et c’est l’apocalypse. … E’ un’ecatombe, è l’apocalisse. Questo
terremoto ha distrutto un Paese. Psicosi e terrore sono ovunque. Alla minima scossa
la gente inizia a fuggire e ad urlare, nel panico, senza sapere dove andare. Governo,
uffici e ministeri … tutto è fermo, non funziona niente. La comunità internazionale
fa quello che può per aiutare; non c’è acqua, non c’è cibo … in tanti cercano di lasciare
Port-au-Prince. Chi non ha una fede veramente solida difficilmente riesce a ricominciare
da capo, a ritrovare la fiducia e a riprendere la via della speranza. Noi facciamo
quello che possiamo per far rinascere proprio la speranza, nell’amore e per gestire
questa situazione.
Per un medico aiutare i feriti significa
essere quotidianamente a contatto con storie segnate dalla sofferenza e dalla morte.
Spesso si devono compiere scelte dolorose e dare la precedenza nelle operazioni a
chi ha maggiori aspettative di vita. E’ la drammatica testimonianza dell’anestesista
Thomas Pellis, che lavora come volontario della Fondazione Francesca Rava nell’ospedale
pediatrico di Saint Damien. Luca Collodi lo ha raggiunto telefonicamente a
Port-au-Prince:
R. – Rimane
una situazione agghiacciante, alla quale si fa fatica ad abituarsi. All’interno dell’ospedale
si sente l’odore della sofferenza perché ci sono persone che hanno arti schiacciati.
L’odore della morte, pur essendoci dei vivi, è pregnante. Stiamo cercando di dare
la precedenza a chi ha maggiori aspettative di vita. Non ce la facciamo ad operare
più di un certo numero di pazienti. Purtroppo dobbiamo scegliere noi a chi dare la
priorità. Questo non è facile, anche perché all’inizio avevamo finito molto rapidamente
le nostre scorte di morfina.
D. – Voi state assistendo
bambini, adulti, anziani...
R. – Anche donne incinte…
di qualsiasi età. Abbiamo amputato un arto ad una bambina di due anni ed una doppia
amputazione ad una bambina di forse tre anni; abbiamo amputato una donna incinta che
si è ripresa molto bene; sta bene anche il suo bimbo. Stiamo operando ogni fascia
di età. Avendo poche ore per salvare la vita a quelle persone che avevano un arto
gravemente infetto, mi sono concentrato soltanto su quello. Per quanto riguarda la
chirurgia, dopo aver ristabilito alcune esigenze primarie tra cui acqua, elettricità
e la fornitura di gasolio per i gruppi di continuità e aver rese di nuovo operative
le sale operatorie, ora la difficoltà sta nel coordinare in modo efficace l’arrivo
degli aiuti più necessari. Si devono evitare iniziative individuali, perché se non
si è parte della soluzione si diventa parte del problema. Gli aiuti devono essere
distribuiti in modo organico: se non vengono incanalati bene, dobbiamo andare anche
a recuperarli in aeroporto o gestire il loro arrivo. Questo ci toglie energie e ci
distoglie da quello che stiamo cercando di fare. Ci sarà bisogno di impegnarsi anche
nel futuro perché questo è soltanto il primo passaggio. Ci vorrà la riabilitazione,
servirà aver cuore anche dopo per questo Paese disastrato.
La
devastazione del terremoto si riflette anche negli occhi e nelle menti di migliaia
di bambini, piccoli testimoni di una tragedia che può lasciare traumi indelebili.
Ai bambini si devono per questo assicurare non solo beni di prima necessità, ma anche
sostegno psicologico e spirituale. E’ quanto sottolinea al microfono di Luca Collodi
il vicepresidente della Pontificia Commissione per l'America Latina, mons.
Josè Octavio Ruiz Arena:
R. – Si tratta
di una situazione tremenda, non soltanto per la distruzione degli edifici, dei palazzi,
dei seminari, della cattedrale e di tante altre opere, ma per la sofferenza della
gente e soprattutto dei bambini. Certamente in un numero così elevato di persone che
hanno trovato la morte, i bambini sono quelli che più soffrono. Soffrono perché non
sanno in questo momento dove andare. Si tratta soprattutto di vedere come dare a questi
bambini un aiuto valido per aiutarli a sopravvivere, non soltanto per la mancanza
di cibo, di acqua e così via. Si deve assicurare anche un aiuto spirituale, psicologico
di cui hanno tanto bisogno.
D. – Questo terremoto
ha creato molti orfani...
R. – Sono tantissimi. E’
la più grossa preoccupazione consiste nel capire come aiutare questi piccoli bambini
che percorrono le strade e osservano questa tragedia. Speriamo che si cominci a trovare
una soluzione, a portarli dove possano ricevere l’aiuto di cui hanno bisogno e a portarli
anche in altre nazioni, cercando delle persone che possano prenderli subito.
D.
– Qualcuno propone una grande campagna di adozione internazionale. E’ giusto estirpare
questi bambini da Haiti, un Paese che ha bisogno di una ricostruzione non soltanto
materiale ma anche culturale?
R. – Si deve cercare
una soluzione transitoria mentre si studia come poter legalizzare questa situazione.
Magari tra alcuni mesi si potrà farli ritornare in modo tale che trovino una struttura
che li possa accogliere. La cosa importante è non lasciarli soli, per le strade, senza
nessun aiuto, senza cibo e acqua.