Nigeria, imposto il coprifuoco dopo gli scontri. Una trentina le vittime
Il coprifuoco permanente è stato imposto a Jos, in Nigeria, dopo gli scontri fra cristiani
e musulmani che nella scorsa fine settimana hanno provocato almeno 26 vittime e oltre
300 feriti. Secondo alcune fonti, il bilancio delle violenze potrebbe essere già salito
a 40 morti. La Croce Rossa locale ha fatto sapere che 3.000 abitanti della zona sono
stati trasferiti altrove per ragioni di sicurezza. All’origine dei violenti scontri,
secondo la polizia nigeriana, la costruzione di una moschea nel quartiere a maggioranza
cristiana di Nassarawa Gwom. Un’altra ricostruzione dei fatti parla invece della riedificazione
in atto di due case date alle fiamme durante i disordini che, nel novembre del 2008,
provocarono almeno 200 vittime nella stessa città di Jos. Sul perché di queste nuove
tensioni, Giada Aquilino ha intervistato padre Patrick Alumuku, direttore
delle Comunicazioni Sociali dell’arcidiocesi di Abuja:
R. – E’ iniziato
tutto con il problema della crisi tra musulmani e cristiani nel 2008, a Jos. Poi,
i musulmani sono andati via: Jos è una città a maggioranza cristiana. Adesso alcuni
musulmani hanno cercato di tornare e di ricostruire le loro case. Ma alcuni giovani
non volevano queste ricostruzioni. Ecco, quindi, come una piccola cosa può creare
una grande crisi come quella in atto. D. – Come si possono superare
le tensioni a sfondo religioso, in Nigeria? R. – Diversi gruppi
e diverse persone stanno cercando di trovare una via di uscita. L’arcivescovo di Jos,
mons. Ignatius Kaigama, e i capi musulmani locali stanno lavorando insieme. Ieri,
c’è stata una conferenza stampa in cui è stato detto a musulmani e cristiani di fare
il possibile per evitare che questa crisi peggiori. Poi, ci sono anche iniziative
di altre persone e di altri gruppi che stanno cercando la via del dialogo. Per esempio
a Kaduna ci sono un religioso cristiano e un imam musulmano che lavorano insieme:
conducono un programma televisivo, ogni domenica, per portare avanti il dialogo tra
le rispettive comunità. Esempi del genere si stanno moltiplicando nel Paese per diffondere
l’idea che non si può andare avanti con la crisi, mentre si può avere progresso e
sviluppo solo se si lavora insieme.