Terremoto Haiti. 200 mila i morti. Estratta viva dopo tre giorni una bimba di 18 mesi
Almeno 200 mila morti. E’ la stima delle vittime, purtroppo ancora provvisoria, fornita
dal governo di Haiti, dopo il devastante sisma che distrutto il paese più povero del
continente americano. 3 milioni gli abitanti coinvolti dal terremoto. Oggi ancora
paura dopo che una scossa di assestamento di 4,5 gradi Richetr ha fatto tremare la
terra. Proseguono senza sosta le operazioni di soccorso e iniziano ad arrivare i primi
aiuti internazionali, “ma il problema è coordinarli”, ha evidenziato il presidente
Preval. Le nazioni Unite parlano disastro senza precedenti, mentre secondo il presidente
Usa Obama per la ricostruzione ci vorranno anni. Paolo Ondarza: I soccorritori
non si arrendono. Si cercano i sopravvissuti, si continua a scavare tra le macerie
grazie al clima favorevole e al tipo di strutture cadute. Sono tanti i bambini che,
piccolissimi, hanno avuto la fortuna di rimanere intrappolati negli ampi varchi creati
dai crolli e quindi di non restare schiacciati. Per le strade di Pourt-au-Prince si
comincia a respirare un clima di tensione, ci sono centinaia e centinaia di cadaveri
per le strade, in migliaia cercano cibo e acqua. Almeno seimila detenuti sono scappati
dalle carceri. Alcuni spari sono risuonati per le vie probabilmente per scongiurare
razzie e saccheggi. Moltissimi haitiani si sono spinti verso la Repubblica Domenicana
in cerca di approvvigionamento. Ma ascoltiamo alcune testimonianze da Haiti raccolte
dalla Cnn, iniziando da quella di due sorelle americane, Jamie ed Ellie, che da
più di 3 anni gestiscono a Port-au-Prince un orfanatrofio. Sono moltissimi i bimbi
rimasti soli e che vagano per le strade della capitale. L’istituto, nonostante il
devastante terremoto, ha invece retto e i suoi ospiti, 25 orfanelli, si sono salvati: “It’s
backling and we can hear noises like it’s falling … Tutto l’edificio si muove e
sentiamo rumori come se stesse per crollare. Quindi, certamente non torneremo più
dentro. I nostri piccoli sono salvi e tranquilli. Ma abbiamo bisogno di cibo e acqua.
Questi bambini sono in attesa di essere adottati da famiglie americane. In condizioni
normali, questa procedura richiede un anno e mezzo o più, a causa della burocrazia
sia haitiana che americana. Ma ora tutti i loro documenti non ci sono più. Che ne
sarà di loro?”
“Un mur s'est écroulé sur mon fils… Un muro è crollato suo
mio figlio, Gabriel, e l’ha ucciso. Aveva sette anni. Ora non so cosa farò: non ho
denaro, non ho niente da dare da mangiare ai figli che mi sono rimasti, non ho acqua,
non so cosa farò…”
“Fifteen minutes after… Quindici minuti dopo che l’ho
tirata fuori dalle macerie, mia moglie è morta. Ho fatto quello che potevo, ma non
avevo gli strumenti per fare presto. Le parlavo, le davo da mangiare, lei piangeva.
Ora aspetto di seppellirla…”
“I cannot even find the right way… Non riesco
nemmeno a trovare il modo giusto per descrivere cosa ho provato quando mi hanno salvata;
quando ho sentito le voci dei soccorritori che mi chiamavano mi sono detta: “Non morirò”.
Sono rimasta sotto le macerie due giorni. Ma non ho mai pensato di morire; pensavo
ai miei genitori e non volevo che perdessero la loro unica figlia. Poi devo dire che
non ho mai, mai smesso di pregare. E sono molto grata di non avere mai perso la fede.
Ringraziavo Dio, per essermi trovata in un luogo dove ero protetta ...”
In
questo contesto di desolazione e morte, ma anche di speranza, cominciano ad arrivare
gli aiuti internazionali: grandi le difficoltà organizzative e logistiche. Sono però
numerosi gli esempi di solidarietà, la Croce Rossa americana ha registrato una raccolta
record via sms pari a oltre 10milioni di dollari. Notevole lo sforzo delle Caritas
di tutto il mondo che hanno subito raccolto l’appello del Papa ad intervenire in favore
del popolo haitiano. Al microfono della nostra collega inglese Irene Lagan
ascoltiamo il cardinale Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa,
e presidente della Caritas Internationalis:
R. – E’ una delle tragedie più
grandi che abbiamo avuto nel nostro continente, in uno dei Paesi più poveri, che si
trova in grandissima difficoltà. La Caritas Internationalis ha già iniziato a distribuire
tende, coperte, sta prestando i primi soccorsi, e verranno forniti alimenti, generi
di prima necessità ed utilizzati circa 200 centri sanitari per offrire cure mediche.
Il nostro segretario della Regione di Messico e America Centrale è già ad Haiti. Francia,
Stati Uniti, Svizzera avevano del personale ad Haiti ancora prima del terremoto. Il
nostro team internazionale della Caritas include anche Austria, Germania, Messico
e Olanda. La maggior parte delle chiese sono crollate, inclusa la cattedrale di Port-au-Prince.
Seminari, scuole, case religiose sono state gravemente danneggiate. Con grande dolore
sappiamo che l’arcivescovo di Port-au-Prince, mons. Serge Miot, è deceduto. Noi esprimiamo
il nostro dolore ai nostri fratelli e sorelle di Haiti e a tutte le vittime del terremoto.
E’ veramente una tragedia.
Arriverà oggi sull’isola il segretario di Stato
americano Hillary Clinton che avrà un incontro con il presidente Preval. Lo stesso
capo di Stato oggi ha parlato con il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon
che domani si recherà ad Haiti. Uno scenario devastante è quello raccontato dal padre
camilliano Gianfranco Lovera, raggiunto telefonicamente ad Haiti. Così descrive
i primi momenti del terremoto:
R. – Dal primo piano del mio studio ho sentito
un grande sibilo, un rumore forte. I muri mi sembravano di gomma, non potevo muovermi
assolutamente, perché ero sbattuto per terra. Ho detto: “Ecco, è il momento di andare
dal Signore”. E’ durato non so quanto. Poi sono sceso e, arrivato al cancello, mi
vedo subito una madre con un bimbo tra le braccia, con la testa spaccata in due, un
bimbo di tre anni, che questa donna aveva a lungo atteso e che io avevo a lungo aiutato.
Mi dice: “Padre, eccolo qui”. E poi non c’è più stato tempo di riflettere: feriti,
urla, sangue, odore di sangue. Insomma, una cosa incredibile.
D. – Qual è la
situazione?
R. – La situazione è una situazione terribile, una situazione di
morte. La Port-au-Prince che noi conoscevamo fino ad alcuni giorni fa non esiste più.
E’ crollato quasi tutto. Sono morti personaggi illustri. E’ morto il nostro vescovo,
sono morti un sacco di seminaristi. Quelli del nostro istituto, per fortuna, sono
tutti vivi. In questo momento le strade sono ancora disseminate di morti, che stanno
raccogliendo per portarli fuori nelle fosse comuni. Sono inebetito. Siamo sconcertati.
Ci sembra di vivere un incubo.
D. – Per quanto riguarda la vostra struttura,
il vostro ospedale?
R. – Noi abbiamo un ospedale e, fortunatamente, i muri
sono lesionati ma hanno retto. Stiamo curando tantissimi ammalati, tantissimi feriti.
Sono già venute più di 500 persone in questi due giorni e le abbiamo già dimesse.
Si lavora ad un grosso ritmo insomma.
D. – E di cosa avete bisogno?
R.
– Noi abbiamo bisogno di tutto. Anzitutto, in questo momento di anestetici, di antibiotici,
abbiamo bisogno di mangiare: la gente ha fame. Se il mondo sapesse cosa vuol dire
avere fame!
D. – Qual è la sua speranza per questa popolazione e per questo
Paese, uno tra i più poveri al mondo?
R. – La mia speranza è che questo popolo
non perda la speranza e che continui a pregare come, in fondo, fa. Ero qui in mezzo
ai feriti e ai morti, ad un tappeto di feriti e di morti, e mi commuoveva sentire
cantare dalla gente i loro salmi, potrei dire, al Signore. Mi sembravano i Salmi della
Bibbia: “Signore perché ci hai abbandonati? Signore perché è morto mio figlio, mia
figlia? Perché è crollato tutto?” Io prego solo che questo popolo non perda la speranza
e che continui nonostante tutto ad avere questa forza, che dà loro solo Dio, che non
è una rassegnazione, ma credo sia in fondo, una vera fede.