Haiti: forse 500 mila le vittime del terremoto. Cor Unum rilancia l'appello del Papa:
aiuti generosi. Hanno perso la vita anche l'arcivescovo Miot e Zilda Arns, la Madre
Teresa dell'America Latina
Dramma e caos ad Haiti dopo il devastante terremoto che ha colpito il Paese martedì
scorso: si parla di centomila morti, alcuni ipotizzano 500 mila vittime. La solidarietà
internazionale non si è fatta attendere. Il Pontificio Consiglio Cor Unum ha rilanciato
oggi l’appello del Papa, ieri all’udienza generale: gli aiuti – afferma un comunicato
del dicastero vaticano – “devono essere generosi e concreti per venire incontro alle
pressanti necessità dei nostri fratelli e sorelle in Haiti”. “Cor Unum, in diretto
contatto con Catholic Relief Services (Crs), l'agenzia umanitaria internazionale dei
vescovi degli Stati Uniti, – riferisce il comunicato - ha chiesto all’organismo di
coordinare gli sforzi di assistenza in questa fase. Il personale già sul posto, che
conta più di 300 membri attivi da tempo in Haiti l'esperienza passata, le capacità
e le risorse di Crs, permetteranno pronto ed efficace coordinamento degli sforzi della
Chiesa”. In azione anche la Caritas Internationalis guidata dal cardinale honduregno
Oscar Rodriguez Maradiaga. Ma le operazioni di soccorso sono purtroppo estremamente
difficili: si scava a mani nude in cerca di sopravvissuti sotto le macerie. E la terra
oggi ha tremato di nuovo: l’ultima scossa, di magnitudo 4,7 della scala Richter, è
stata registrata a 10 chilometri di profondità con epicentro a 50 km dalla capitale.
Tra le tante vittime c'è anche l’arcivescovo di Port-au-Prince. Il servizio di Amedeo
Lomonaco:
Haiti è un
cumulo di macerie. A Port-au-Prince lo scenario è apocalittico. Nelle zone periferiche
si moltiplicano anche voci di presunti saccheggi. L’intero Paese è sotto choc come
il suo presidente, René Preval, che intervistato dalla Cnn racconta il proprio dramma
e quello di una nazione intera:
R. – My Palace collapsed… Il
Palazzo presidenziale è crollato. Non posso stare nel mio Palazzo e non posso stare
nella mia casa, perché entrambi sono crollati. Adesso sto lavorando per salvare le
persone. Siamo in una situazione drammatica: bisogna vederla, per poterci credere.
Case distrutte, ospedali, scuole crollati. E la gente è per le strade. Non possiamo
portarli all’ospedale. Ora, prima di tutto, dobbiamo ripulire le strade perché i soccorritori
possano lavorare. Abbiamo bisogno di dottori, di medicine. Gli ospedali che funzionano
sono pieni e la gente è fuori, davanti alle strutture sanitarie. C’è il rischio che
le case continuino a crollare. C’è il rischio di epidemie. Ma tutti stanno facendo
del loro meglio per aiutare. Voglio ringraziare tutti i Paesi che hanno cominciato
ad aiutarci.
Il bilancio è pesantissimo anche per
la Chiesa locale. Anche l’arcivescovo di Port-au-Prince, mons. Serge Miot, è morto
nel sisma. Ieri sera molti sopravvissuti hanno pregato nelle piazze del centro
della capitale. Secondo fonti locali sono almeno 100 sacerdoti e seminaristi
rimasti uccisi in seguito al terremoto. Ascoltiamo la testimonianza di un sacerdote
haitiano, padre Jean Patrick, raccolta da Marie Duhamel:
R.
– L’Eglise haïtienne… La Chiesa haitiana è stata gravemente colpita da questa
catastrofe. Sono crollate numerose chiese, la cattedrale è stata devastata dalle fiamme,
anche il seminario è stato colpito, sono morti dei seminaristi e molti, molti fedeli
della diocesi hanno perso la vita in questa catastrofe. In giro vediamo e sentiamo
grida, dolore, angoscia. Bisogna dire che quando la Chiesa è colpita, è colpita anche
la solidarietà perché la Chiesa è il luogo in cui la gente vive la solidarietà. Adesso
è la Chiesa stessa qui ad Haiti a trovarsi in difficoltà e fa affidamento sul sostegno
degli altri, in particolare sull’aiuto della Chiesa universale: la forza di questo
aiuto sta nel fatto che è un aiuto di cuore, è un aiuto che viene dall’amore della
Chiesa universale nei riguardi di una piccola Chiesa locale. Ogni Chiesa darà il suo
contributo e questo ci consentirà di cambiare la situazione. Noi haitiani siamo abituati
alle catastrofi: quando non sono quelle naturali, sono quelle politiche o di altro
genere e da sempre scuotono il Paese. Ma il popolo ogni volta riprende a sperare,
sempre torna a sperare che il domani sarà migliore. E questa speranza è una speranza
cristiana. Questo popolo è convinto che Dio lo accompagni lungo la sua storia e che
sia al suo fianco, nonostante tutto. Per gli haitiani l’amore è più forte …
E’
estremamente difficile avere notizie da Haiti. Le comunicazioni telefoniche sono interrotte.
Gli unici collegamenti con il Paese caraibico sono attualmente possibili attraverso
skype. Ascoltiamo la testimonianza di Tito Ippolito, volontario
Avsi che si trova a 100 chilometri da Port-au-Prince, raccolta da Luca Collodi:
R.
– Le notizie sono di una situazione evidentemente fuori controllo, nella quale l’unica
cosa che si può fare è di attendere l’arrivo delle squadre di soccorso dai Paesi vicini:
lo Stato haitiano non è assolutamente attrezzato per affrontare una situazione di
emergenza del genere, per cui si procede anche a mani nude alla ricerca di eventuali
superstiti tra le macerie. Macerie che hanno completamente invaso la città.
D.
– Com’è possibile aiutare dall’Europa e dall’Italia queste persone?
R.
– Al momento noi non possiamo che attendere che la situazione si normalizzi. Per poter
pensare di organizzare un’azione di aiuto alla popolazione haitiana dovremmo prima
di tutto renderci conto di che situazione abbiamo di fronte per poter capire bene
cosa fare e in che modo procedere. Credo che per poter fare una valutazione del genere
purtroppo saremo costretti ad aspettare qualche giorno.
D.
– Anche gli ospedali hanno delle difficoltà, perché si parla di crolli …
R.
– Le informazioni che mi sono giunte è che sia rimasto un unico ospedale funzionante
rispetto ai quattro normalmente in funzione nella capitale, perché gli altri tre sono
crollati. Un ospedale, quindi, che è già oltre la sua capacità di accoglienza e che
è ormai costretto a rifiutare l’arrivo di altri feriti in quanto non ha più la possibilità
di gestirli.
D. – C’è qualcuno che sta coordinando
o quantomeno sta provando a coordinare i soccorsi?
R.
– Per il momento, purtroppo, credo di no. Regna il caos, è una situazione assolutamente
fuori controllo nella quale ognuno cerca, con i propri mezzi, di riuscire a recuperare
eventuali superstiti tra le macerie. Ma senza l’arrivo di squadre organizzate la situazione
non può assolutamente volgere ad un miglioramento. Nel Paese
cominciano ad arrivare gli aiuti della comunità internazionale. Sono anche molteplici
gli sforzi per mettersi in contatto con i sopravvissuti. Il Comitato internazionale
della Croce Rossa ha attivato uno speciale sito Internet per aiutare gli haitiani
ad avere notizie dei propri cari dopo il terribile sisma che ha colpito il Paese.
L'indirizzo è www.icrc.org/familylinks. Sono almeno 200 i dispersi tra quanti
fanno parte del personale dell’Onu nel Paese. Intanto, le organizzazioni presenti
sul posto stanno monitorando il territorio per organizzare i soccorsi, come spiega,
al microfono di Linda Giannattasio, Francesco Rocca, commissario straordinario della
Croce Rossa Italiana:
R. – Sono arrivati i primi
aiuti e sono cominciati ad arrivare i primi aerei. Si sta verificando anche dove e
come dislocare gli aiuti e si stanno individuando le aree dove poter mettere gli eventuali
ospedali da campo, i rifugi, le tende, gli alloggi provvisori. Per fare questo, però,
occorre individuare delle aree che siano adatte anche per portare elettricità ed acqua,
perché lì le infrastrutture sono venute completamente giù e lavoriamo in un Paese
poverissimo, dove già prima la conduzione politica, le infrastrutture di carattere
amministrativo, quindi il coordinamento, era difficile. La valutazione sul terreno
è fondamentale.
D. – Gli aerei ora riescono a raggiungere
la capitale?
R. – Con difficoltà i primi aerei sono
arrivati. Si sta lavorando per mettere a posto l’aeroporto.
D.
– Quali sono a suo avviso i problemi più urgenti?
R.
– Il problema principale è quello sanitario. C’è, però, il problema del cibo, c’è
il problema dell’elettricità e dell’acqua, e qui andiamo ad operare su un territorio
dove comunque mancano le infrastrutture di collegamento. Mentre con lo tsunami si
è operato in zone povere, ma dove c’era uno Stato forte, qui abbiamo una forte difficoltà.
D.
– Da più parti sta arrivando l’appello a non inviare cibo. Di che tipo di aiuti ha
realmente bisogno la popolazione?
R. – Il cibo inviato,
ad esempio, dall’Italia, ora che viene organizzato, che viene stoccato e consegnato!
Dai Paesi caraibici vicini possiamo ordinarlo. Quindi, non serve in questo momento
inviare cibo, serve sostenere la Croce Rossa o le altre organizzazioni, che operano
sul territorio con contributi in denaro, perché lì chi lavora sul posto può fare la
valutazione dei bisogni. Non facciamo l’errore di dare beni in natura, che poi possono
portare solo difficoltà nella distribuzione e c’è il rischio che non vadano a buon
fine.
Dalla comunità internazionale cominciano dunque
ad arrivare i primi aiuti. Secondo le Nazioni Unite, almeno tre milioni di
persone avrebbero bisogno di soccorsi. Un grande contributo, in particolare,
è assicurato in queste drammatiche ore, dalla confinante Repubblica Dominicana. Mons.
Józef Wesołoski, nunzio apostolico nella Repubblica Dominicana:
R.
–Si è riscontrata veramente molta solidarietà tra la gente nell’aiutare i nostri fratelli
e sorelle che si trovano nella Repubblica di Haiti. In particolare, sono arrivati
i primi aiuti da parte degli altri Paesi, come gli Stati Uniti, e si nota la presenza
della comunità europea e l’Onu.
D. – Quali sono le
priorità in questo momento?
R. – Adesso si devono
concentrare tutti gli sforzi nella liberazione di tutte quelle persone che si trovano
ancora sotto le macerie delle case cadute. La seconda fase è aiutare la gente con
cibo, acqua potabile, organizzare la loro vita quotidiana. Ora la grande preoccupazione
riguarda anche le Chiese, perché ci sono anche sacerdoti e seminaristi tra coloro
che hanno perso la vita.
D. – Quali iniziative prenderà
la nunziatura della Repubblica Dominicana per aiutare la popolazione di Haiti colpita
dal terremoto? R. – In questo momento la nunziatura di Santo
Domingo sta preparando gli aiuti. Tanta gente ha chiamato per informarsi su quale
sia la situazione nel Paese vicino. Per il futuro pensiamo di mandare aiuti umanitari
e nelle Chiese abbiamo pregato per chi ha perso la vita, per tutta quella gente che
adesso ha bisogno di coraggio, di amore e di carità.
Iniziative
di solidarietà sono state intraprese dalle Chiese di tutti i continenti, Europa, Asia,
Africa, Oceania. Ma grande è stata in particolare la commozione per quanto accaduto
ad Haiti nelle comunità ecclesiali del Continente americano e soprattutto dell'America
Latina. Immediata la mobilitazione delle Conferenze episcopali locali, dopo l’appello
di ieri del Papa, a sostegno della popolazione colpita. Lo conferma ai nostri microfoni
il nostro collega cileno Luis Badilla:
R.
– La risposta delle Chiese latino-americane è stata generosissima e immediata, subito
dopo l’appello lanciato ieri da Benedetto XVI, per portare solidarietà, vicinanza
e aiuti concreti alle popolazioni haitiane. Dopo le commosse parole del Papa, la quasi
totalità delle 22 Conferenze episcopali dell’America Latina ha annunciato, nei limiti
delle proprie risorse, sempre scarse, importanti aiuti finanziari ad Haiti. Ovviamente,
in prima linea, le diverse Caritas nazionali dell’America Latina, alcune delle quali
stanno facendo arrivare già in questo momento i loro primi aiuti. Hanno mandato anche
i loro inviati che stanno organizzando l’arrivo di altri urgenti sostegni come per
esempio cibo, coperte, medicinali, abbigliamento. La cosa fondamentale è comunque
l’appello indirizzato ai popoli cattolici dell’America Latina, a tutti in generale,
a donare quello che è possibile per Haiti. I vescovi insistono soprattutto perché
si doni quello che serve veramente.
Dietro ogni vittima
del terremoto di Haiti si nasconde una singola storia. E’ nel segno della solidarietà
quella di Zilda Arns, 75 anni, fondatrice della Pastorale del Bambino, organizzazione
legata alla Conferenza Nazionale dei vescovi del Brasile. Sorella del cardinale Paulo
Evaristo Arns, arcivescovo emerito di San Paolo, era in missione a Port-au-Prince,
ed è morta nelle vie della capitale haitiana. Un suo ritratto nel servizio di Benedetta
Capelli: Era conosciuta come la Madre Teresa dell'America
Latina. Medico pediatra, Zilda Arns aveva 5 figli e nel 1983 fondò la Pastorale del
Bambino che nel Paese sudamericano assiste quasi due milioni di bimbi, 95 mila donne
incinte in oltre 42 mila comunità. Una vita spesa nell’amore appassionato degli altri,
in difesa della vita, della famiglia e dei bambini poveri. Ascoltiamola in un’intervista
rilasciata al programma brasiliano della Radio Vaticana:
(parole
in portoghese) "Conoscere Gesù, essere una sua discepola o un suo discepolo
è la nostra gioia. Seguirlo è una grazia così come dare testimonianza; partecipare
con solidarietà sostenendo le famiglie povere è la nostra missione perché tutti i
bambini possano vivere in abbondanza. Tutti insieme possiamo costruire una società
giusta e fraterna a servizio della vita e della speranza". Punto
di riferimento per l’America Latina nella lotta contro la denutrizione e la mortalità
infantile: due campi nei quali aveva ottenuto risultati eccellenti vantando una riduzione
del 60% nel primo caso, del 50% nel secondo. Per il suo impegno è stata candidata
al premio Nobel per la Pace. I vescovi del Brasile, in una nota, hanno ricordato che
è morta nel “pieno esercizio della causa in cui credeva”, mettendo in pratica la missione
di Gesù: “Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza”
(Gv 10,10).