2010-01-12 15:15:55

I minori immigrati protagonisti della Giornata mondiale delle migrazioni del 17 gennaio. Intervista con mons. Giancarlo Perego


I fatti di Rosarno, in Calabria, hanno evidenziato la debolezza del sistema di accoglienza e di integrazione. E' stata una lotta tra poveri e chi maggiormente è stato sconfitto è stato il più povero: l’immigrato. Occorre superare le tentazioni di xefonobia, ricreare un clima di maggiore e migliore accoglienza. Così oggi si è espresso mons. Bruno Schettino, presidente della Fondazione Migrantes e arcivescovo di Capua, presentando la Giornata mondiale delle migrazioni del prossimo 17 gennaio, sul tema “Il minore migrante rifugiato, una speranza per il futuro”. Celebrazioni che quest’anno saranno ospitate dalla Campania e in cui si parlerà di minori nati in Italia da famiglie straniere, di minori non accompagnati o separati, di minori rifugiati, attorno ai quali occorre costruire casa e città, ha spiegato mons. Giancarlo Perego, direttore generale della fondazione Migrantes. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:RealAudioMP3

R. - Il primo percorso certamente importante è quello di un accompagnamento di questi bambini e dei diritti fondamentali: il diritto di avere una famiglia per chi non ce l’ha, il diritto alla scuola - perché, mediamente, un bambino immigrato perde un anno di scuola, non essendoci immediatamente una scuola che lo accolga - il diritto allo sport, al gioco. Il diritto, nel caso in cui un bambino nasca in Italia, ad essere da subito cittadino italiano. Quindi, credo che alcune leggi da fare e che si stanno facendo siano da guardare con molta attenzione, perché tante volte promuovono alcuni diritti fondamentali che hanno al centro i bambini, quindi il futuro della nostra società.
 
D. - Questa attenzione, ad esempio, si riferisce all’ultimo provvedimento, al non superamento del tetto del 30 per cento per quanto riguarda i bambini stranieri nelle classi italiane...
 
R. - Questo provvedimento nasce da un’esigenza giusta, cioè che la scuola sta cambiando. La risposta è parziale, ha bisogno di una serie di altri elementi che sono importanti da considerare. Nella nota che è stata mandata ai dirigenti è discrezione del dirigente diminuire o aumentare la quota, e questo va contro il diritto fondamentale. Prima c’è il diritto dei bambini ad andare a scuola e poi c’è il dovere della scuola di fare in modo che la classe sia adeguata per l’insegnamento, e così via. In ogni caso, noi non possiamo lasciare fuori i bambini dalla scuola. Secondo, non si tiene presente il fatto che - mediamente - un bambino immigrato perde un anno di scuola. Quindi, bisogna facilitare da subito, nel ricongiungimento familiare, l’accesso alla scuola. Abbiamo la questione dei bambini rom, che sono la metà di tutti i rom presenti in Italia - 70 mila su 140 mila - e per i quali l’abbandono scolastico è grave perché manca tutto un accompagnamento sociale. Noi dobbiamo fare in modo che il tema della scuola vada connesso fortemente a tutta una serie di problematiche sociali e in questo la nota è ancora molto debole. Scuola, famiglia, lavoro stanno cambiando su un fenomeno che per noi è nuovo, che è il fenomeno dell’immigrazione. Al tempo stesso, occorre che una serie di diritti, di doveri, una serie di modelli sociali e culturali cambino alla luce di un fenomeno - il Papa ha parlato di "segno dei tempi" - che ci invita a riconsiderare questa realtà.
 
D. - A suo giudizio, può essere che l’Italia abbia paura di queste seconde generazioni in gran parte di famiglia islamica?
 
R. - Il tema della paura si accompagna sempre nella storia al tema dell’immigrazione, all’incontro tra popoli diversi. Il problema è fare in modo che ci sia un incontro, una conoscenza. Tutte le volte che noi creiamo distanza, creiamo necessariamente discriminazione.
 
D. - Quindi, lei è più orientato su un’Italia xenofoba, che ha paura del diverso, piuttosto che di un’Italia razzista della quale si sta invece parlando oggi, soprattutto dopo Rosarno?
 
R. - Certamente, io ritengo che l’Italia non sia più o meno razzista di tanti altri Paesi. Il problema è che l’Italia, come il Papa stesso ha detto, ha bisogno di riflettere sulla relazione, cioè sul tema dell’alterità, della diversità e di abituarsi a questa realtà. Che un figlio sposi o abbia come fidanzata una ragazza islamica, che il proprio bambino sia a scuola con dieci altri bambini di otto nazionalità diverse, sono fenomeni nuovi che hanno bisogno di essere accompagnati anche sul piano culturale, sul piano sociale.







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