Il discorso del Papa al Corpo Diplomatico. Testo integrale
Tradizionale incontro oggi, nella Sala Regia in Vaticano, tra il Papa e il Corpo Diplomatico
accreditato presso la Santa Sede per gli auguri d’inizio anno. Benedetto XVI ha passato
in rassegna i principali avvenimenti internazionali alla luce del mistero del Verbo
che si è incarnato “per assumere in sé tutto il creato e sollevarlo dalla sua caduta”.
Il Papa ha ricordato che la Chiesa è aperta a tutti perché - in Dio – esiste per gli
altri; che le radici profonde dell’attuale crisi economica sono nella mentalità egoistica
e materialistica; che la negazione di Dio sfigura la libertà della persona umana ma
devasta anche la creazione; che non si può separare o contrapporre salvaguardia dell’ambiente
e rispetto della vita. Benedetto XVI ha quindi lanciato un forte appello al disarmo,
ad una lotta internazionale contro fame e povertà, alla solidarietà verso gli immigrati,
al dialogo tra le nazioni. Ha parlato con preoccupazione delle crescenti anticristiane
in alcuni Paesi. “C’è tanta sofferenza nell’umanità – ha concluso il Papa - e l’egoismo
umano ferisce la creazione in molteplici modi. Per questo l’attesa di salvezza, che
tocca tutta quanta la creazione, è ancor più intensa ed è presente nel cuore di tutti,
credenti e non credenti. La Chiesa indica che la risposta a tale anelito è il Cristo,
il ‘primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei
cieli e sulla terra’ (Col 1,15-16). Fissando lo sguardo su di Lui, esorto ogni persona
di buona volontà ad operare con fiducia e generosità per la dignità e la libertà dell’uomo.
Che la luce e la forza di Gesù ci aiutino a rispettare l’ecologia umana, consapevoli
che anche l’ecologia ambientale ne trarrà beneficio, poiché il libro della natura
è uno ed indivisibile. E’ così che potremo consolidare la pace, oggi e per le generazioni
che verranno”. Ecco il testo integrale del discorso del Papa: Eccellenze, Signore
e Signori, E’ per me motivo di grande gioia questo incontro tradizionale
d’inizio d’anno, due settimane dopo la celebrazione della nascita del Verbo incarnato.
Come abbiamo proclamato nella liturgia: “Nel mistero adorabile del Natale, Egli, Verbo
invisibile, apparve visibilmente nella nostra carne, e generato prima dei secoli,
cominciò ad esistere nel tempo, per assumere in sé tutto il creato e sollevarlo dalla
sua caduta” (Prefazio II del Natale). A Natale, quindi, abbiamo contemplato il mistero
di Dio e quello della creazione; mediante l’annuncio degli angeli ai pastori ci è
giunta la buona novella della salvezza dell’uomo e del rinnovamento dell’intero universo.
Per questa ragione, nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace di quest’anno,
ho invitato tutti gli uomini di buona volontà, ai quali gli angeli hanno promesso
giustamente la pace, a custodire il creato. Ed è in questo stesso spirito che sono
lieto di salutare ciascuno di Voi, in particolare coloro che sono presenti per la
prima volta a questa cerimonia. Vi ringrazio sentitamente per i voti augurali, di
cui si è fatto interprete il vostro Decano, il Signor Ambasciatore Alejandro Valladares
Lanza, e Vi rinnovo il mio vivo apprezzamento per la missione che svolgete presso
la Santa Sede. Attraverso di Voi, desidero far giungere il mio cordiale saluto e augurio
di pace e prosperità alle Autorità e a tutti gli abitanti dei Paesi che Voi degnamente
rappresentate. Il mio pensiero si estende, anche, a tutte le altre Nazioni della terra:
il Successore di Pietro mantiene le sue porte aperte a tutti e con tutti desidera
avere relazioni che contribuiscano al progresso della famiglia umana. Da qualche settimana,
sono state stabilite piene relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e la Federazione
Russa: è questo un motivo di profonda soddisfazione. Allo stesso modo, è stata molto
significativa la visita che mi ha reso recentemente il Presidente della Repubblica
Socialista del Vietnam, Paese che è caro al mio cuore e nel quale la Chiesa sta celebrando
la sua plurisecolare presenza con un Anno giubilare. Con tale spirito di apertura,
nel corso del 2009, ho ricevuto numerose personalità politiche, provenienti da diversi
Paesi; ho anche visitato alcuni di essi e mi propongo in futuro, nella misura del
possibile, di continuare a farlo. La Chiesa è aperta a tutti,
perché – in Dio - esiste per gli altri! Pertanto essa partecipa intensamente alle
sorti dell’umanità, che in questo anno appena iniziato, appare ancora segnata dalla
drammatica crisi che ha colpito l’economia mondiale e ha provocato una grave e diffusa
instabilità sociale. Con l’Enciclica Caritas in veritate ho invitato ad individuare
le radici profonde di tale situazione: in ultima analisi, esse risiedono nella mentalità
corrente egoistica e materialistica, dimentica dei limiti propri a ciascuna creatura.
Oggi mi preme sottolineare che questa stessa mentalità minaccia anche il creato. Ciascuno
di noi, probabilmente, potrebbe citare qualche esempio dei danni che essa arreca all’ambiente,
in ogni parte del mondo. Ne cito uno, tra i tanti, dalla storia recente dell’Europa:
vent’anni fa, quando cadde il Muro di Berlino e quando crollarono i regimi materialisti
ed atei che avevano dominato lungo diversi decenni una parte di questo Continente,
non si è potuto avere la misura delle profonde ferite che un sistema economico privo
di riferimenti fondati sulla verità dell’uomo aveva inferto, non solo alla dignità
e alla libertà delle persone e dei popoli, ma anche alla natura, con l’inquinamento
del suolo, delle acque e dell’aria? La negazione di Dio sfigura la libertà della persona
umana, ma devasta anche la creazione! Ne consegue che la salvaguardia del creato non
risponde in primo luogo ad un’esigenza estetica, ma anzitutto a un’esigenza morale,
perché la natura esprime un disegno di amore e di verità che ci precede e che viene
da Dio. Pertanto, condivido la maggiore preoccupazione che
causano le resistenze di ordine economico e politico alla lotta contro il degrado
dell’ambiente. Si tratta di difficoltà che si sono potute constatare ancora di recente
durante la XV Sessione della Conferenza degli Stati parte alla Convenzione delle Nazioni
Unite sui cambiamenti climatici, svoltasi dal 7 al 18 dicembre scorso a Copenaghen.
Auspico che, nell’anno corrente, prima a Bonn e poi a Città del Messico, sia possibile
giungere ad un accordo per affrontare tale questione in modo efficace. La posta in
gioco è tanto più importante perché ne va del destino stesso di alcune Nazioni, in
particolare, alcuni Stati insulari. Occorre, tuttavia, che tale
attenzione e tale impegno per l’ambiente siano bene inquadrati nell’insieme delle
grandi sfide che si pongono all’umanità. Se, infatti, si vuole edificare una vera
pace, come sarebbe possibile separare, o addirittura contrapporre la salvaguardia
dell’ambiente a quella della vita umana, compresa la vita prima della nascita? E’
nel rispetto che la persona umana nutre per se stessa che si manifesta il suo senso
di responsabilità verso il creato. Perché, come insegna S. Tommaso d’Aquino, l’uomo
rappresenta quanto c’è di più nobile nell’universo (cfr. Summa Theologiae, I, q.29,
a.3). Inoltre, come ho ricordato al recente Vertice Mondiale della FAO sulla Sicurezza
alimentare, “la terra può sufficientemente nutrire tutti i suoi abitanti” (Discorso
del 16 novembre 2009, 2), purché l’egoismo non porti alcuni ad accaparrarsi i beni
destinati a tutti! Vorrei sottolineare ancora che la salvaguardia
della creazione implica una corretta gestione delle risorse naturali dei paesi, in
primo luogo, di quelli economicamente svantaggiati. Il mio pensiero va al Continente
africano, che ho avuto la gioia di visitare nel marzo scorso, recandomi in Camerun
ed Angola, ed al quale sono stati dedicati i lavori della recente Assemblea Speciale
del Sinodo dei Vescovi. I Padri sinodali hanno segnalato con preoccupazione l’erosione
e la desertificazione di larghe zone di terra coltivabile, a causa dello sfruttamento
sconsiderato e dell’inquinamento dell’ambiente (cfr. Propositio n. 22). In Africa,
come altrove, è necessario adottare scelte politiche ed economiche che assicurino
“forme di produzione agricola e industriale rispettose dell’ordine della creazione
e soddisfacenti per i bisogni primari di tutti” (Messaggio per la Giornata Mondiale
della Pace 2010, 10). Come dimenticare, poi, che la lotta per
l’accesso alle risorse naturali è una delle cause di vari conflitti, tra gli altri
in Africa, così come la sorgente di un rischio permanente in altre situazioni? Anche
per questa ragione ripeto con forza che, per coltivare la pace, bisogna custodire
il creato! D’altra parte ci sono ancora vaste estensioni di terra, per esempio in
Afghanistan ed in alcuni paesi dell’America Latina, dove purtroppo l’agricoltura è
ancora legata alla produzione di droga e costituisce una fonte non trascurabile di
occupazione e di sostentamento. Se si vuole la pace, occorre custodire il creato con
la riconversione di tali attività. Chiedo perciò alla comunità internazionale, ancora
una volta, che non si rassegni al traffico della droga ed ai gravi problemi morali
e sociali che essa genera. Sì, Signore e Signori, la custodia
del creato è un importante fattore di pace e di giustizia! Fra le tante sfide che
essa lancia, una delle più gravi è quella dell’aumento delle spese militari, nonché
quella del mantenimento o dello sviluppo degli arsenali nucleari. Ciò assorbe ingenti
risorse, che potrebbero, invece, essere destinate allo sviluppo dei Popoli, soprattutto
di quelli più poveri. Confido, fermamente, che nella Conferenza di esame del Trattato
di Non-Proliferazione nucleare, in programma per il maggio prossimo a New York, vengano
prese decisioni efficaci in vista di un progressivo disarmo, che porti a liberare
il pianeta dalle armi nucleari. Più in generale, deploro che la produzione e l’esportazione
di armi contribuiscano a perpetuare conflitti e violenze, come quelli nel Darfur,
in Somalia e nella Repubblica Democratica del Congo. All’incapacità delle parti direttamente
coinvolte di sottrarsi alla spirale di violenza e di dolore generata da questi conflitti,
si aggiunge l’apparente impotenza degli altri Paesi e delle Organizzazioni internazionali
a riportare la pace, senza contare l’indifferenza quasi rassegnata dell’opinione pubblica
mondiale. Non occorre poi sottolineare come tali conflitti danneggino e degradino
l’ambiente. Come, infine, non menzionare il terrorismo che mette in pericolo un così
gran numero di vite innocenti e provoca un diffuso senso di angoscia? In questa solenne
circostanza, desidero rinnovare l’appello che ho lanciato il 1° gennaio durante la
preghiera dell’Angelus a quanti fanno parte di gruppi armati di qualsiasi tipo affinché
abbandonino la strada della violenza e aprano il loro cuore alla gioia della pace. Le
gravi violenze che ho appena evocato, unite ai flagelli della povertà e della fame,
come pure alle catastrofi naturali ed al degrado ambientale, contribuiscono ad ingrossare
le fila di quanti abbandonano la propria terra. Di fronte a tale esodo, invito le
Autorità civili, che vi sono coinvolte a diverso titolo, ad agire con giustizia, solidarietà
e lungimiranza. In particolare, vorrei menzionare i Cristiani in Medio Oriente: colpiti
in varie maniere, fin nell’esercizio della loro libertà religiosa, essi lasciano la
terra dei loro padri in cui si è sviluppata la Chiesa dei primi secoli. E’ per offrire
loro un sostegno e per far loro sentire la vicinanza dei fratelli nella fede, che
ho convocato, per l’autunno prossimo, l’Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi
sul Medio Oriente. Signore e Signori Ambasciatori, quelle che
ho tracciato finora sono soltanto alcune delle dimensioni connesse con la problematica
ambientale. Tuttavia, le radici della situazione che è sotto gli occhi di tutti, sono
di ordine morale e la questione deve essere affrontata nel quadro di un grande sforzo
educativo, per promuovere un effettivo cambiamento di mentalità ed instaurare nuovi
stili di vita. Di ciò può e vuole essere partecipe la comunità dei credenti, ma perché
ciò sia possibile, bisogna che se ne riconosca il ruolo pubblico. Purtroppo, in alcuni
Paesi, soprattutto occidentali, si diffondono, negli ambienti politici e culturali,
come pure nei mezzi di comunicazione, un sentimento di scarsa considerazione, e, talvolta,
di ostilità, per non dire di disprezzo verso la religione, in particolare quella cristiana.
E’ chiaro che, se il relativismo è concepito come un elemento costitutivo essenziale
della democrazia, si rischia di concepire la laicità unicamente in termini di esclusione
o, meglio, di rifiuto dell’importanza sociale del fatto religioso. Un tale approccio
crea tuttavia scontro e divisione, ferisce la pace, inquina l’“ecologia umana” e,
rifiutando, per principio, le attitudini diverse dalla propria, si trasforma in una
strada senza uscita. Urge, pertanto, definire una laicità positiva, aperta, che, fondata
su una giusta autonomia tra l’ordine temporale e quello spirituale, favorisca una
sana collaborazione e un senso di responsabilità condivisa. In questa prospettiva,
io penso all’Europa, che con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ha iniziato
una nuova fase del suo processo di integrazione, che la Santa Sede continuerà a seguire
con rispetto e con benevola attenzione. Nel rilevare con soddisfazione che il Trattato
prevede che l’Unione Europea mantenga con le Chiese un dialogo “aperto, trasparente
e regolare” (art. 17), auspico che, nella costruzione del proprio avvenire, l’Europa
sappia sempre attingere alle fonti della propria identità cristiana. Come ho rimarcato
durante il mio viaggio apostolico del settembre scorso nella Repubblica Ceca, essa
ha un ruolo insostituibile “per la formazione della coscienza di ogni generazione
e per la promozione di un consenso etico di fondo, al servizio di ogni persona che
chiama questo continente «casa»!” (Discorso alle autorità civili e al corpo diplomatico,
26 settembre 2009). Proseguendo nella nostra riflessione, è
necessario rilevare che la problematica dell’ambiente è complessa. Si potrebbe dire
che è un prisma dalle molte sfaccettature. Le creature sono differenti le une dalle
altre e possono essere protette, o, al contrario, messe in pericolo, in modi diversi,
come ci mostra l’esperienza quotidiana. Uno di tali attacchi proviene da leggi o progetti,
che, in nome della lotta contro la discriminazione, colpiscono il fondamento biologico
della differenza fra i sessi. Mi riferisco, per esempio, ad alcuni Paesi europei o
del Continente americano. “Se togli la libertà, togli la dignità”, come disse S. Colombano
(Epist. n.4 ad Attela, in S. Columbani opera, Dublin 1957, p. 34.) Tuttavia, la libertà
non può essere assoluta, perché l’Uomo non è Dio, ma immagine di Dio, sua creatura.
Per l’uomo, il cammino da seguire non può quindi essere l’arbitrio, o il desiderio,
ma deve consistere, piuttosto, nel corrispondere alla struttura voluta dal Creatore.
La salvaguardia della creazione comporta anche altre sfide,
alle quali non si può rispondere che attraverso la solidarietà internazionale. Penso
alle catastrofi naturali, che durante l’anno scorso hanno seminato morti, sofferenze
e distruzioni nelle Filippine, in Vietnam, nel Laos, in Cambogia e nell’isola di Taiwan.
Come non ricordare poi l’Indonesia, e, più vicino a noi, la regione dell’Abruzzo,
scosse da devastanti terremoti? Di fronte a simili eventi non deve venire meno l’aiuto
generoso, perché la vita stessa delle creature di Dio è in gioco. Ma la salvaguardia
della creazione, oltre che della solidarietà, ha bisogno anche della concordia e della
stabilità degli Stati. Quando insorgono divergenze ed ostilità fra questi ultimi,
per difendere la pace debbono perseguire con tenacia la via di un dialogo costruttivo.
E’ quanto avvenne venticinque anni or sono con il Trattato di Pace ed Amicizia fra
Argentina e Cile, che fu raggiunto grazie alla mediazione della Sede Apostolica. Esso
ha portato abbondanti frutti di collaborazione e prosperità, di cui ha beneficiato,
in qualche modo, l’intera America Latina. In questa stessa parte del mondo, sono lieto
del riavvicinamento intrapreso da Colombia ed Ecuador, dopo parecchi mesi di tensione.
Più vicino a noi, mi compiaccio dell’intesa conclusa tra Croazia e Slovenia a proposito
dell’arbitrato relativo alle loro frontiere marittime e terrestri. Mi rallegro, altresì,
dell’accordo tra Armenia e Turchia, in vista della ripresa delle loro relazioni diplomatiche,
ed auspico che attraverso il dialogo, i rapporti fra tutti i Paesi del Caucaso meridionale
migliorino. Durante il mio pellegrinaggio in Terra Santa, ho richiamato in modo pressante
Israeliani e Palestinesi a dialogare e a rispettare i diritti dell’altro. Ancora una
volta levo la mia voce, affinché sia universalmente riconosciuto il diritto dello
Stato di Israele ad esistere e a godere di pace e sicurezza entro confini internazionalmente
riconosciuti. E che, ugualmente, sia riconosciuto il diritto del Popolo palestinese
ad una patria sovrana e indipendente, a vivere con dignità e a potersi spostare liberamente.
Mi preme, inoltre, sollecitare il sostegno di tutti perché siano protetti l’identità
e il carattere sacro di Gerusalemme, la sua eredità culturale e religiosa, il cui
valore è universale. Solo così questa città unica, santa e tormentata, potrà essere
segno e anticipazione della pace che Dio desidera per l’intera famiglia umana! Per
amore del dialogo e della pace, che salvaguardano la creazione, esorto i governanti
e i cittadini dell’Iraq ad oltrepassare le divisione, la tentazione della violenza
e l’intolleranza, per costruire insieme l’avvenire del loro Paese. Anche le comunità
cristiane vogliono dare il loro contributo, ma perché ciò sia possibile, bisogna che
sia loro assicurato rispetto, sicurezza e libertà. Anche il Pakistan è stato duramente
colpito dalla violenza in questi ultimi mesi e alcuni episodi hanno preso di mira
direttamente la minoranza cristiana. Domando che si compia ogni sforzo affinché tali
aggressioni non si ripetano e i cristiani possano sentirsi pienamente integrati nella
vita del loro Paese. Trattando delle violenze contro i cristiani, non posso non menzionare,
peraltro, i deplorevoli attentati di cui sono state vittime le Comunità copte egiziane
in questi ultimi giorni, proprio quando stavano celebrando il Natale. Per quanto riguarda
l’Iran, auspico che attraverso il dialogo e la collaborazione, si raggiungano soluzioni
condivise, sia a livello nazionale che sul piano internazionale. Al Libano, che ha
superato una lunga crisi politica, auguro di proseguire sempre sulla via della concordia.
Confido che l’Honduras, dopo un periodo di incertezza e trepidazione, si incammini
verso una ritrovata normalità politica e sociale. E lo stesso mi auguro che si realizzi
in Guinea ed in Madagascar, con l’aiuto effettivo e disinteressato della comunità
internazionale. Signore e Signori Ambasciatori, al termine
di questo rapido giro d’orizzonte, che, a motivo della brevità non può soffermarsi
su tutte le situazioni pur meritevoli di menzione, mi tornano alla mente le parole
dell’Apostolo Paolo, secondo cui “la creazione geme e soffre” e “anche noi… gemiamo
interiormente” ( Rm 8,22-23). Sì, c’è tanta sofferenza nell’umanità e l’egoismo umano
ferisce la creazione in molteplici modi. Per questo l’attesa di salvezza, che tocca
tutta quanta la creazione, è ancor più intensa ed è presente nel cuore di tutti, credenti
e non credenti. La Chiesa indica che la risposta a tale anelito è il Cristo, il “primogenito
di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla
terra” (Col 1,15-16). Fissando lo sguardo su di Lui, esorto ogni persona di buona
volontà ad operare con fiducia e generosità per la dignità e la libertà dell’uomo.
Che la luce e la forza di Gesù ci aiutino a rispettare l’“ecologia umana”, consapevoli
che anche l’ecologia ambientale ne trarrà beneficio, poiché il libro della natura
è uno ed indivisibile. E’ così che potremo consolidare la pace, oggi e per le generazioni
che verranno. Buon Anno a tutti!