Presepe senza Magi in Cattedrale: il commento dell'arcivescovo di Agrigento
Vasta eco ha avuto in Italia l’iniziativa della Caritas di Agrigento di allestire
nella Cattedrale della città un presepe senza Magi, perché - avvisa un cartello –
“sono stati respinti alla frontiera insieme agli altri immigrati”. Ecco il commento
dell'arcivescovo di Agrigento, Francesco Montenegro, intervistato da Fabio
Colagrande:
R. – Voleva
essere una provocazione pacifica per far riflettere i cristiani sul valore dell’Epifania,
la festa di Gesù che si manifesta a tutti. Purtroppo, c’è ancora una cultura di non
accoglienza, per cui nonostante facciamo festa al Bambino Gesù ci accorgiamo che il
nostro cuore è chiuso agli altri.
D. – Un modo per
stimolare un esame di coscienza su come viviamo la nostra fede, anche se uscendo un
po’ dalla tradizione del presepio...
R. – Non è neppure
voler uscire dalla tradizione del presepe. Oggi, forse, si va sempre più diffondendo
la forma della drammatizzazione: si viene più presi dall’immagine e il presepe non
ci mette in crisi. Mentre il presepe che abbiamo sempre usato come giocattolo per
i piccoli dovrebbe essere un momento di verità per i grandi.
D.
– Una scelta che sottolinea, ci sembra, soprattutto, il rischio di incoerenza nel
vivere la fede...
R. – Ritengo di sì, perché mi è
capitato, anche in questi giorni, di sentire dei cristiani che parlavano del Natale,
ma escludevano i fratelli da questa festa. Ora mi chiedo come uno possa essere sicuro
e contento della propria fede, quando quel mistero che ci viene presentato da quel
Bambino non riusciamo ad accoglierlo fino in fondo.
D.
– E’ particolarmente difficile nella terra siciliana convivere con questa situazione,
la presenza di diversi immigrati che arrivano dall’Africa?
R.
– Credo che questo sia un problema che riguarda tutti. Il problema è che la povertà
ci fa male e questi fratelli che vengono da fuori ci ricordano la povertà che noi
non vorremmo guardare in faccia. Allora è meglio che se ne stiano a casa loro, così
noi stiamo meglio a casa nostra.
D. – L’iniziativa
del presepe in cattedrale senza i Magi, ma con la scritta “Respinti alla frontiera”,
non vuole essere di taglio politico, assolutamente...
R.
– No, assolutamente no. E’ una provocazione per vivere la nostra fede. Io non posso
emozionarmi davanti ad un bambino di gesso che mi fa ricordare quello che avvenne
duemila anni fa e restare lì indifferente davanti ad un bambino di carne, un povero
piccolo, e di questi ne sono morti tanti in mare. Devono morire di fame o li devo
rimandare indietro? Ecco, non riesco a vedere come mettere insieme le due cose.
D.
– Lei è stato a lungo direttore della Caritas italiana, mons. Montenegro. In quell’esperienza
che idea si è fatto della situazione dell’integrazione degli immigrati in Italia?
R.
– Ritengo che ancora la strada sia molta e non basti dire: “Noi italiani siamo buoni”.
La bontà si deve spezzare con il pane ogni giorno e tante volte la bontà deve diventare
anche pane per gli altri e non solo pane, questo è certo.
D.
– Il Papa ieri nella festa dell’Epifania ha ricordato che solamente in quel Bambino
si manifesta la forza di Dio. Cosa significa questo? La forza del Dio Onnipotente
in un bambino debole, indifeso...
R. – Quel Bambino
mi dà appuntamento presso altri cinque miliardi di volti. E come guardo quel bambino
– e lo guardo con il cuore aperto – se voglio incontrarlo oggi, devo incontrarlo altrove,
e se quel Bambino di Betlemme è debole, io devo ricordare che incontro Lui dove ci
sono i deboli, dove ci sono i poveri. (Montaggio a cura di Maria Brigini)