"Roma. La pittura di un Impero": ancora 10 giorni per visitare la Mostra alle Scuderie
del Quirinale
Si concluderà il prossimo 17 gennaio la mostra Roma. La pittura di un Impero
che ha festeggiato i dieci anni dell’inaugurazione delle Scuderie del Quirinale a
Roma. L’esposizione, che ha riscosso grande successo, è stata curata - tra gli altri
- da Eugenio La Rocca, con l’allestimento di Luca Ronconi e Margherita Palli; l’organizzazione
è dell’Azienda speciale Palaexpo e di MondoMostre. L’ha visitata per noi Giada
Aquilino:
Un mondo
colorato, capace di riprodurre eventi storici, mitologici, aspetti della natura e
della vita quotidiana, usando realismo e poesia. E’ la Roma antica, quella ritratta
nella pittura del periodo compreso tra il I secolo a.C. e il V d.C., e ospitata per
la prima volta alle Scuderie del Quirinale nella mostra “Roma. La pittura di un Impero”.
Cento le opere esposte, tra affreschi, ritratti su legno e vetro, decorazioni, provenienti
da domus patrizie, abitazioni e botteghe popolari dei più importanti siti archeologici
e dai musei di tutto il mondo. Ce ne parla uno dei curatori, Eugenio La
Rocca:
R. - Il mondo antico era un mondo
colorato: gli edifici pubblici, quelli privati, i monumenti principali erano a colori.
Noi abbiamo perso questa visione del mondo antico, proprio perché nella realtà dei
fatti non è conservato il colore. La pittura, quindi, non è altro che uno dei tanti
elementi del colore che invadeva l’intero centro urbano.
D.
– C’è un’opera che più rappresenta questa mostra?
R.
– Ci sono le pareti della Villa della Farnesina insieme ad una stanza della Villa
di Boscotrecase, una a Roma e l’altra a Napoli. Metterle insieme - perché sono probabilmente
opera di una medesima maestranza – è stato un elemento molto importante.
D.
– E’ stato sottolineato un collegamento anche con le opere del Rinascimento e dell’Impressionismo…
R.
– Perché in realtà le tecniche pittoriche degli antichi avevano raggiunto lo stesso
livello - se non addirittura lo avevano superato – del Rinascimento e del mondo moderno.
Alcune pitture disegnate a macchia o alcuni ritratti dell’oasi egiziana di El Fayyum,
ospitati alla mostra, ricordano quadri di impressionisti: le tecniche pittoriche sono
molto simili.
Grazie anche ad un allestimento che
dona ad ogni opera una luminosità naturale, l’esposizione mette in evidenza
il ruolo centrale della pittura nella società civile romana, sottolineandone l'originalità
e l’importanza soprattutto rispetto ad un’arte pittorica classica andata ormai perduta.
Ascoltiamo il critico e storico dell’arte Antonio Paolucci, direttore
dei Musei Vaticani:
R. – L’antichità classica in
pittura è andata totalmente dissolta. La conosciamo soltanto attraverso gli elogi
dei trattatisti antichi – Pausania, Plinio, ecc. – ma non più in originale. Sarebbe
come se noi oggi di Michelangelo e di Raffaello avessimo gli scritti dei critici che
ne hanno parlato, ma non gli originali: avremmo soltanto delle copie, delle citazioni,
delle rielaborazioni. La conoscenza della pittura romana, comunque, è la conseguenza
degli scavi di Pompei della seconda metà del Settecento. E’ allora che scoppia la
moda della pittura romana e addirittura dello stile romano. Lo stile impero, lo stile
direttorio, i mobili e gli arredi sono ispirati ai colori e ai modelli che venivano
fuori dagli scavi di Pompei, di Ercolano e di Stabia.
D.
– E’ stato detto che l’arte romana è “un’arte senza nomi”. Perché?
R.
– Perché era un’arte seriale: c’erano tante botteghe o, come diremmo oggi, “ditte”
di decoratori che spesso non erano neanche romani. Sappiamo che c’erano alcune botteghe
romane, ma molti erano artisti greci, siriaci, egizi, venivano dall’Oriente, parlavano
greco. Infatti nelle pitture esposte alla mostra, quando ci sono delle scritte, sono
in greco, perché gli archetipi ed i prototipi venivano da lì.