Washington, Londra, Parigi e Tokyo chiudono le ambasciate nello Yemen
Gli Stati Uniti sono ripiombati nella psicosi degli attentati. L’ultimo episodio questa
mattina all’aeroporto Newark, evacuato per qualche ora dopo che un uomo è riuscito
ad entrare nell'area di imbarco eludendo i controlli. Intanto si apre un nuovo fronte
nella lotta al terrorismo. E’ quello nello Yemen, Paese in cui si è addestrato l’attentatore
che stava per far esplodere, il giorno di Natale, un aereo americano nei cieli di
Detroit. Proprio a Sanaa, Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Giappone hanno chiuso
le loro sedi diplomatiche per rischio attentati, mentre dal nord del Paese giungono
notizie di una battaglia con al-Qaeda, durante la quale due miliziani dell'organizzazione
terrorista sono stati uccisi dalle forze governative. Salvatore Sabatino ha
chiesto a Ferdinando Fasce, docente di Storia americana presso l’Università
di Genova se lo Yemen rischia di diventare un nuovo Iraq:
R. – C’è
un pericolo reale, rappresentato da queste forze di al-Qaeda che stanno in Yemen –
peraltro da tempo – e direi che c’è il pericolo che l’amministrazione Obama cada in
una trappola: confermare - spostandola su un terreno inevitabilmente diverso, perché
è diverso l’atteggiamento di Obama e diversa è la sua cultura come il suo orientamento
politico di fondo - quell’idea che il terrorismo va combattuto con una logica di
guerra che, di volta in volta, si incarna in uno Stato specifico.
D.
– Come ha detto lei, Washington era già al corrente dei rischi che potevano venire
dallo Yemen. Perché non è intervenuta prima?
R. –
Credo che qui ci sia un problema davvero sistemico: il fatto che in primis c’è difficoltà
di coordinamento nell’informazione – lo abbiamo visto anche rispetto alla questione
del nigeriano fermato a Detroit - problemi di coordinamento tra la babele della struttura
dei servizi statunitensi. Poi c’è un problema di coordinamento tra questi servizi,
anche a livello internazionale. Infine c’è il fatto che in realtà l’investimento statunitense
già da prima del 2001, ma con più forza dal 2001 in poi, è stato orientato a logiche
di intervento militare con una conseguente riduzione ed un peggioramento dell’azione
dei servizi.
D. – A questo punto l’amministrazione
Obama deve dare dimostrazione di efficacia nei confronti del pericolo terrorismo.
Cosa possiamo attenderci per le prossime settimane?
R.
– Speriamo che siano assolutamente scongiurate ipotesi di intervento militare diretto.
Speriamo che Obama riprenda il filo del discorso nel senso di accorgersi delle difficoltà
che ci sono in Afghanistan rispetto all’azione cosiddetta di “controinsorgenza” e
decida di rafforzare da un lato l’azione coordinata di intelligence e dall’altro un
progetto di sostegno di quelle forze che nell’area del Golfo e nello Yemen guardano
alla possibilità di sviluppo, perché il problema dello Yemen è prima di tutto un problema
di un regime che vive di petrolio, ma queste risorse petrolifere sono destinate ad
esaurirsi nei prossimi sette anni. Quindi il problema è quello di immaginare delle
forme d’intervento - che possono essere tipo il ripresentarsi di progetti come quello
del vecchio piano Marshall - per modificare l’assetto dell’area.