2010-01-04 14:52:17

Washington, Londra, Parigi e Tokyo chiudono le ambasciate nello Yemen


Gli Stati Uniti sono ripiombati nella psicosi degli attentati. L’ultimo episodio questa mattina all’aeroporto Newark, evacuato per qualche ora dopo che un uomo è riuscito ad entrare nell'area di imbarco eludendo i controlli. Intanto si apre un nuovo fronte nella lotta al terrorismo. E’ quello nello Yemen, Paese in cui si è addestrato l’attentatore che stava per far esplodere, il giorno di Natale, un aereo americano nei cieli di Detroit. Proprio a Sanaa, Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e Giappone hanno chiuso le loro sedi diplomatiche per rischio attentati, mentre dal nord del Paese giungono notizie di una battaglia con al-Qaeda, durante la quale due miliziani dell'organizzazione terrorista sono stati uccisi dalle forze governative. Salvatore Sabatino ha chiesto a Ferdinando Fasce, docente di Storia americana presso l’Università di Genova se lo Yemen rischia di diventare un nuovo Iraq:RealAudioMP3

R. – C’è un pericolo reale, rappresentato da queste forze di al-Qaeda che stanno in Yemen – peraltro da tempo – e direi che c’è il pericolo che l’amministrazione Obama cada in una trappola: confermare - spostandola su un terreno inevitabilmente diverso, perché è diverso l’atteggiamento di Obama e diversa è la sua cultura come il suo orientamento politico di fondo - quell’idea che il terrorismo va combattuto con una logica di guerra che, di volta in volta, si incarna in uno Stato specifico.

 
D. – Come ha detto lei, Washington era già al corrente dei rischi che potevano venire dallo Yemen. Perché non è intervenuta prima?

 
R. – Credo che qui ci sia un problema davvero sistemico: il fatto che in primis c’è difficoltà di coordinamento nell’informazione – lo abbiamo visto anche rispetto alla questione del nigeriano fermato a Detroit - problemi di coordinamento tra la babele della struttura dei servizi statunitensi. Poi c’è un problema di coordinamento tra questi servizi, anche a livello internazionale. Infine c’è il fatto che in realtà l’investimento statunitense già da prima del 2001, ma con più forza dal 2001 in poi, è stato orientato a logiche di intervento militare con una conseguente riduzione ed un peggioramento dell’azione dei servizi.

 
D. – A questo punto l’amministrazione Obama deve dare dimostrazione di efficacia nei confronti del pericolo terrorismo. Cosa possiamo attenderci per le prossime settimane?

 
R. – Speriamo che siano assolutamente scongiurate ipotesi di intervento militare diretto. Speriamo che Obama riprenda il filo del discorso nel senso di accorgersi delle difficoltà che ci sono in Afghanistan rispetto all’azione cosiddetta di “controinsorgenza” e decida di rafforzare da un lato l’azione coordinata di intelligence e dall’altro un progetto di sostegno di quelle forze che nell’area del Golfo e nello Yemen guardano alla possibilità di sviluppo, perché il problema dello Yemen è prima di tutto un problema di un regime che vive di petrolio, ma queste risorse petrolifere sono destinate ad esaurirsi nei prossimi sette anni. Quindi il problema è quello di immaginare delle forme d’intervento - che possono essere tipo il ripresentarsi di progetti come quello del vecchio piano Marshall - per modificare l’assetto dell’area.







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