Bomba a Reggio Calabria. L'arcivescovo Mondello: mafiosi, cambiate vita!
L’attentato contro la procura generale di Reggio Calabria non è il frutto di un solo
clan. Così il Procuratore generale della repubblica del capoluogo, Salvatore Di Landro,
sulle indagini relative allo scoppio, domenica, dell’ordigno davanti alla sede giudiziaria
della città. In queste ore è in corso, a Reggio Calabria, un vertice a cui partecipa
anche il sottosegretario all’Interno Francesco Nitto Palma. Giovedi nella città arriverà
il ministro dell’Interno Roberto Maroni. Alessandro Guarasci
Il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha ribadito, in un colloquio telefonico,
il sostegno del governo al procuratore generale della città calabrese Salvatore
Di Landro. Al microfono di Federico Piana ascoltiamo proprio il procuratore
Di Landro che si sofferma sulle modalità dell’attentato:
R. – Il fatto
è di particolare gravità perché, tra l’altro, la bomba è stata collocata proprio in
modo mirato davanti alla Procura generale. Questo, ovviamente, è un brutto segnale. D.
– Come avete fatto a capire che era proprio la ‘ndrangheta? R.
– Le modalità dell’attentato sono state di chiaro stile mafioso perché è arrivato
uno scooter di notte, con a bordo due uomini con il casco. Quello seduto sul sedile
posteriore è sceso, ha preso la bombola di almeno dieci kg di gas e ha messo del tritolo.
La tecnica è di chiaro stampo mafioso. D. – In questo periodo
ci sono in ballo dei processi molto interessanti, ci sono molti capi ‘ndrangheta imputati
ma, soprattutto, avete sequestrato anche beni alle cosche … R.
– Hanno alzato il tiro perché forse hanno colto un cambiamento, la maggior presenza
nel corso dei processi d’appello, una maggiore volontà di fare le cose in modo serio
e vigoroso. Evidentemente la ‘ndrangheta si sente anche più forte. C’è poco da fare:
se hanno alzato il tiro al livello della Procura generale, un ufficio che una volta
era assolutamente impensabile fosse coinvolto in simili fatti, è perché si sentono
forti. Si sentono forti al punto da porsi come anti-Stato che detta regole alla società
civile e alle istituzioni di giustizia. Naturalmente tutto questo preoccupa, sconcerta
e amareggia.
Per un commento sull’attentato, avvenuto a pochi passi dal
Duomo, Amedeo Lomonaco ha sentito mons. Vittorio Luigi Mondello, arcivescovo
di Reggio Calabria:
R. – Qui
siamo abituati agli attentati. Ogni notte ci sono incendi di macchine o una bomba
verso questo o quell’altro negozio. Quindi non ci facciamo molto caso. Questo però
ha impressionato molto non solo me ma anche la magistratura. Ha impressionato per
il nuovo livello: non avevano mai attentato alla magistratura e questo è un segno
forte proprio contro la magistratura. Allora le interpretazioni più logiche credo
possano essere due: o qualcuno si è sentito in difficoltà per qualche processo e reagisce
in questo modo oppure si ritiene vicina la cattura dei capi delle cosche. Allora reagiscono
in questo modo. E' un episodio che impressiona soprattutto perché è la prima volta
che viene colpita la magistratura. D. – La firma dell'attentato,
inequivocabile, è della 'ndrangheta. Cosa possono e devono fare la società civile
e la Chiesa contro la criminalità organizzata? R. – Durante
tutto questo periodo di Natale abbiamo ribadito la necessità della pace e della non
violenza. Ho cercato sempre di inculcare questa priorità della non violenza, però
ritengo che questo sia un messaggio che non sempre giunge alle orecchie di chi dovrebbe
ascoltare. D. – A Reggio Calabria sono dunque frequenti fenomeni
intimidatori. Anche la Chiesa è vittima di intimidazioni di matrice mafiosa? R.
– Purtroppo qualche caso si è già verificato. Casi lievi, come per esempio la rottura
di copertoni della macchina. In questi casi i preti che vengono colpiti non ne capiscono
le cause. Hanno anche fatto una regolare denuncia alla polizia ma queste sono indagini
lente e, molto spesso, non arrivano a colpire nessuno. D. –
La speranza è riposta nella cittadinanza ed anche nella comunità di credenti che possono
realmente alimentare il cambiamento e la rinascita di tutto il territorio... R.
– La speranza la poniamo in Cristo e la poniamo soprattutto nella nostra conversione
personale. Noi come Chiesa dobbiamo essere portatori di pace, di non violenza, di
fratellanza e di comunione. Sono questi i temi sui quali insistiamo quotidianamente.
Dall’altro lato non dobbiamo però dimenticare che ci sono forze centrifughe che mirano
soltanto al denaro, al possesso, al potere. E molto spesso questi messaggi di fratellanza
non riescono a recepirli. D. – C’è un augurio, un auspicio che
vorrebbe rivolgere per il nuovo anno a quanti fanno parte delle organizzazioni mafiose? R.
– Certo. Per me l’augurio è che cambino la loro vita presente e abbiano anche uno
sguardo verso futuro. Non pensare cioè a star bene soltanto domani o dopodomani, ma
pensare che il Signore chiamerà a render conto delle proprie azioni. Si impegnino
quindi, guardando al futuro, al futuro escatologico, alla fine della propria vita
e si preparino sin da questo momento a quell’incontro rinnovandosi, chiedendo perdono
e cercando di non essere antisociali ma al servizio dei fratelli. D.
– C’è stato in questo senso qualche frutto che lei ha potuto constatare, qualche cambiamento
che è diventato autentico? R. – No. Devo dire con sincerità
che non ho constatato alcun frutto di questo genere da parte di nessuno. Non mi è
stato mai rivelato di qualcuno che si sia convertito, che abbia cambiato vita. D.
– Questo secondo lei perché? R. – Le cause vengono da lontano,
da una storia di soprusi, di sopraffazioni, nelle quali questa popolazione si è trovata
continuamente. Molti hanno saputo reagire onestamente e molti invece sono incappati
in queste forme delinquenziali che addirittura, secondo la loro mentalità, sono il
modo più giusto di vivere la vita e di farsi rispettare dagli altri. E’ una mentalità
errata che io ritengo di dover continuamente combattere, puntando soprattutto sulla
formazione, a cominciare dai più piccoli, quindi dalla famiglia e dalla scuola. Queste
nuove generazioni si possono educare in modo da cambiare quella mentalità che le cosche
ritengono essere onorabile, facendo comprendere che si tratta invece di una mentalità
delinquenziale per poter creare una nuova società.