"Nessuno sia emarginato e abbandonato": così Benedetto XVI nel pranzo alla mensa dei
poveri della Comunità di Sant'Egidio
“Nessuno sia solo, nessuno sia emarginato, nessuno sia abbandonato”: è l’accorata
esortazione lanciata da Benedetto XVI, durante la sua visita presso la mensa dei poveri
della Comunità di Sant’Egidio a Roma. Ad accogliere il Papa, il fondatore della Comunità,
Andrea Riccardi, e il suo presidente Marco Impagliazzo, accompagnati da una donna
Rom e un immigrato del Senegal, e poi il vescovo di Terni, Vincenzo Paglia, e l’arcivescovo
Luigi Moretti, vice-gerente di Roma. La cronaca nel servizio di Cecilia Seppia.
Un
incontro semplice, intimo, familiare, e soprattutto gioioso quello di Benedetto XVI
con gli ospiti e i volontari della Comunità di Sant’Egidio, in un luogo, la mensa
dei poveri in Via Dandolo a Trastevere, senz’altro significativo per la città, ma
soprattutto carico di umanità, dove è possibile toccare con mano la presenza di Cristo
nel fratello che ha fame e in colui che gli offre da mangiare, dove emerge il senso
più profondo dell’amore cristiano, dove il messaggio del Natale risuona ogni giorno
e la carità si palesa in gesti concreti. Ecco quanto ha detto il Papa: “Attraverso
gesti di amore di quanti seguono Gesù diventa visibile la verità che Dio per primo
ci ha amati e continua ad amarci per primo; per questo anche noi possiamo rispondere
con l’amore (Enc. Deus caritas est, 17). Gesù dice: ‘ho avuto fame e mi avete dato
da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero straniero e mi avete accolto,
nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti
a trovarmi’ (Mt 25,35-36). E conclude: ‘tutto quello che avete fatto a uno solo di
questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me’ (v. 40). Ascoltando queste parole,
come non sentirsi davvero amici di quelli in cui il Signore si riconosce? E non solo
amici, ma anche familiari”. A tavola con Benedetto
XVI siedono 12 persone, tra questi una famiglia di zingari, un afghano sciita, un
novantenne vedovo, un ragazzo di 25 anni in sedia a rotelle fin dalla nascita e abbandonato
dalla famiglia. Con cordialità ed affetto il Papa durante il pranzo ha parlato con
loro, ascoltato le loro storie difficili, qui in questo luogo dove non ci limita a
sfamare gli affamati ma si serve la persona senza distinzioni di razza, religione
e cultura. Qui dove oggi si respira una gioia particolare, frutto non di certo di
cose materiali ma dello scoprirsi fratelli in Cristo Gesù. Ancora il Papa: "Cari
Amici! E’ per me un’esperienza commovente di essere con voi, di essere qui nella famiglia
di Sant’Egidio, di essere con gli amici di Gesù perché Gesù ama proprio le persone
sofferenti, le persone con difficoltà e vuole averli come i suoi fratelli e sorelle.
Durante il pranzo, ho ascoltato storie dolorose e cariche di umanità, anche la storia
di un amore trovato qui: storie di anziani, emigrati, gente senza fissa dimora, zingari,
disabili, persone con problemi economici o altre difficoltà, tutti, in un modo o nell’altro,
provati dalla vita. Sono qui tra voi per dirvi che vi sono vicino e vi voglio bene". Sono
venuto tra voi nella Festa della Sacra Famiglia - ha detto poi Benedetto XVI - perché
in un certo senso essa vi assomiglia: “Anche la famiglia
di Gesù, fin dai primi passi ha incontrato difficoltà, ha vissuto il disagio di non
trovare ospitalità, fu costretta ad emigrare in Egitto per la violenza del re Erode.
Voi conoscete la sofferenza ma avete qui, qualcuno che si prende cura di voi, anzi,
qualcuno qui ha trovato la sua famiglia grazie al servizio premuroso della Comunità
di Sant'Egidio, che offre un segno dell’amore di Dio per i poveri. Qui oggi si realizza
quanto avviene a casa: chi serve e aiuta si confonde con chi è aiutato e servito,
e al primo posto si trova chi è maggiormente nel bisogno". L’importanza
dell’essere famiglia, del noi che si sostituisce all’io di una società egoista e materialista,
è stata anche ripresa nel discorso del prof. Riccardi, fondatore della Comunità di
Sant’Egidio, che ha incoraggiato tutti a ritrovare la roccia del fondamento che è
Cristo Gesù, perché solo così si può essere donazione per l’altro. Al termine del
pranzo con gli oltre 150 ospiti, il Papa ha voluto personalmente offrire dei doni
a tutti i bambini presenti: giocatoli di ogni tipo, zainetti pieni di pennarelli e
di album da colorare. Poi la visita nella scuola di italiano per i cittadini stranieri,
all’interno della struttura; infine il saluto a quella folla festosa fatta di stranieri,
anziani del quartiere, poveri troppo spesso emarginati, persone sole talvolta malate
che il Papa ha voluto salutare quasi una per una, ribadendo che esiste una sola lingua
capaci di unirci tutti: quella dell’amore. Sull’incontro del Papa
con i poveri ascoltiamo Claudio Betti, della Comunità di Sant’Egidio, al microfono
di Linda Bordoni:
R. – E’
significativo perché è una testimonianza chiara di come la Chiesa voglia indicarci
che il Natale non è solamente una festa consumistica, ma deve essere un momento in
cui ciascun cristiano si domanda qual è la sua responsabilità nei confronti di chi
è più povero e più debole. D. – Com’è cominciata la tradizione
del pranzo di Natale con i poveri? R. – La comunità ha cominciato
tanto tempo fa a fare il pranzo di Natale e ha iniziato un po’ con l’idea di non voler
lasciare soli quei pochi anziani, che noi conoscevamo, qui a Trastevere. Ma piano
piano è diventata molto più significativa e la gente ha cominciato a copiare la nostra
iniziativa. E c’è un’ondata di solidarietà che viene costruita in questi giorni. Ogni
povero ha un suo dono. Mi ricordo che un’anziana venuta ad un nostro pranzo ed entrata
per caso, alla fine del pranzo ricevette un dono con il suo nome, perché in ogni pacco
noi scriviamo il nome, e questa signora cominciò a piangere. Noi le chiedemmo: “Perché
piangi?” Rispose: “Perché questo è chiaramente un dono di Dio. Qui nessuno conosce
il mio nome se non Dio e quindi questo è un dono di Dio”. Io penso che il significato
di questo pranzo è questo: noi vogliamo testimoniare che Dio, nel momento in cui nasce,
è vicino prima di tutto a chi è povero. D. – Il Papa ha manifestato
più volte il suo apprezzamento per il cammino intrapreso dalla Comunità di Sant’Egidio... R.
– Il nostro cammino è un cammino che lui ama e che stima. Gli siamo molto grati per
questo, perché è una consolazione: è la consolazione di un lavoro che viene fatto
ogni giorno, quotidianamente, da migliaia e migliaia di volontari che spendono parte
della loro vita al servizio di chi è povero. Il Santo Padre ha visitato tre volte
la comunità. La prima è stata a Napoli, durante l’incontro interreligioso per la pace,
e la seconda a San Bartolomeo, per ricordare i martiri del XX secolo, e questa volta
l’incontro con i poveri. Sono tre aspetti della vita della Comunità di Sant’Egidio
che ci sono particolarmente cari e che il Papa in qualche modo ha confermato con la
sua presenza e il suo amore. Sono tutte e tre testimonianze della possibilità di comunicare
il Vangelo, credo. (Montaggio a cura di Maria Brigini)