Il Messaggio natalizio del Papa: la Chiesa non teme di offrire, anche tra attacchi
e persecuzioni, il Bambino Gesù, mistero di amore e di luce
La Chiesa non ha paura, anche nelle situazioni più difficili, nelle persecuzioni e
negli attacchi, perché la sua forza è il Bambino Gesù, mistero di amore e di luce
che vuole donare al mondo intero: è quanto ha detto oggi il Papa, in una giornata
nuvolosa, dalla Loggia centrale della Basilica Vaticana nel suo tradizionale Messaggio
nella Solennità del Natale del Signore, trasmesso in mondovisione. Migliaia i fedeli
presenti in Piazza San Pietro che hanno espresso con entusiasmo al Pontefice tutto
il loro affetto. Benedetto XVI ha quindi rivolto gli auguri in 65 lingue e impartito
la Benedizione “Urbi et Orbi”. Il servizio di Sergio Centofanti.
“La luce
che promana dalla grotta di Betlemme - afferma il Papa - risplende su di noi”, ovvero
“la Chiesa, la grande famiglia universale dei credenti in Cristo, che hanno atteso
con speranza la nuova nascita del Salvatore”. All’inizio, attorno alla mangiatoia
di Betlemme, quel ‘noi’ era quasi invisibile agli occhi degli uomini: oltre a Maria
e a Giuseppe c’erano solo pochi umili pastori:
“La
luce del primo Natale fu come un fuoco acceso nella notte. Tutt’intorno era buio,
mentre nella grotta risplendeva la luce vera ‘che illumina ogni uomo’ (Gv 1,9). Eppure
tutto avviene nella semplicità e nel nascondimento, secondo lo stile con il quale
Dio opera nell’intera storia della salvezza. Dio ama accendere luci circoscritte,
per rischiarare poi a largo raggio”. La Verità e l’Amore
– ha proseguito – “si accendono là dove la luce viene accolta, diffondendosi poi a
cerchi concentrici, quasi per contatto, nei cuori e nelle menti di quanti, aprendosi
liberamente al suo splendore, diventano a loro volta sorgenti di luce. È la storia
della Chiesa che inizia il suo cammino nella povera grotta di Betlemme” per portare
quella luce all’intera umanità, “anche nelle situazioni più difficili. La Chiesa,
come la Vergine Maria, offre al mondo Gesù, il Figlio, che Lei stessa ha ricevuto
in dono, e che è venuto a liberare l’uomo dalla schiavitù del peccato”:
“Come
Maria, la Chiesa non ha paura, perché quel Bambino è la sua forza. Ma lei non lo tiene
per sé: lo offre a quanti lo cercano con cuore sincero, agli umili della terra e agli
afflitti, alle vittime della violenza, a quanti bramano il bene della pace. Anche
oggi, per la famiglia umana profondamente segnata da una grave crisi economica, ma
prima ancora morale, e dalle dolorose ferite di guerre e conflitti, con lo stile della
condivisione e della fedeltà all’uomo, la Chiesa ripete con i pastori: ‘Andiamo fino
a Betlemme’ (Lc 2,15), lì troveremo la nostra speranza”. Il
Papa guarda alla Chiesa che vive nel mondo:
“Il
‘noi’ della Chiesa vive là dove Gesù è nato, in Terra Santa, per invitare i suoi abitanti
ad abbandonare ogni logica di violenza e di vendetta e ad impegnarsi con rinnovato
vigore e generosità nel cammino verso una convivenza pacifica”. Il
pensiero del Papa si volge poi “alla tribolata situazione in Iraq” e al “piccolo gregge
di cristiani” che vive in questa regione:
“Esso
talvolta soffre violenze e ingiustizie ma è sempre proteso a dare il proprio contributo
all’edificazione della convivenza civile contraria alla logica dello scontro e del
rifiuto del vicino”. Non manca un riferimento alla Chiesa
che opera “in Sri Lanka, nella Penisola coreana e nelle Filippine, come pure in altre
terre asiatiche, quale lievito di riconciliazione e di pace”. Quindi guarda verso
l’Africa:
“Nel Continente africano non cessa di
alzare la voce verso Dio per implorare la fine di ogni sopruso nella Repubblica Democratica
del Congo; invita i cittadini della Guinea e del Niger al rispetto dei diritti di
ogni persona ed al dialogo; a quelli del Madagascar chiede di superare le divisioni
interne e di accogliersi reciprocamente”. Invita tutti
“alla speranza, nonostante i drammi, le prove e le difficoltà che continuano ad affliggerli”.
C’è poi la Chiesa in Occidente:
“In Europa e in
America settentrionale, il ‘noi’ della Chiesa sprona a superare la mentalità egoista
e tecnicista, a promuovere il bene comune ed a rispettare le persone più deboli, a
cominciare da quelle non ancora nate”. Parlando dell’America
Latina, ribadisce l’impegno della Chiesa ad aiutare l’Honduras “a riprendere il cammino
istituzionale”:
“In tutta l’America Latina il
‘noi’ della Chiesa è fattore identitario, pienezza di verità e di carità che nessuna
ideologia può sostituire, appello al rispetto dei diritti inalienabili di ogni persona
ed al suo sviluppo integrale, annuncio di giustizia e di fraternità, fonte di unità”. “Fedele
al mandato del suo Fondatore – ha aggiunto il Papa - la Chiesa è solidale con coloro
che sono colpiti dalle calamità naturali e dalla povertà, anche nelle società opulente”:
“Davanti all’esodo di quanti migrano dalla loro
terra e sono spinti lontano dalla fame, dall’intolleranza o dal degrado ambientale,
la Chiesa è una presenza che chiama all’accoglienza. In una parola, la Chiesa annuncia
ovunque il Vangelo di Cristo nonostante le persecuzioni, le discriminazioni, gli attacchi
e l’indifferenza, talvolta ostile, che – anzi – le consentono di condividere la sorte
del suo Maestro e Signore”. Infine il Papa, come da tradizione,
ha pronunciato gli auguri di Natale in varie lingue, quest’anno 65, una in più dell’anno
scorso, il kazako. All’Italia, ha rivolto questo augurio:
“La
nascita di Cristo rechi in ciascuno nuova speranza e susciti generoso impegno per
la concorde costruzione di una società più giusta e solidale. Contemplando la povera
e umile grotta di Betlemme, le famiglie e le comunità imparino uno stile di vita semplice,
trasparente e accogliente, ricco di gesti di amore e di perdono”. (applausi)