L’amore arriva dove la medicina si ferma: il commento del prof. Balzaretti alle
parole del Papa all’Hospice Sacro Cuore
Accanto alle indispensabili cure cliniche, occorre offrire ai malati gesti concreti
di amore e di vicinanza. E’ quanto sottolineato ieri da Benedetto XVI in una commovente
visita ai malati nell’Hospice Sacro Cuore al Gianicolo di Roma, centro specializzato
per l’assistenza ai malati terminali. Ma quanto concretamente conta questa vicinanza
quando si assistono persone vicine alla morte? Al microfono di Alessandro Gisotti,
risponde il prof. Franco Balzaretti, rappresentante mondiale dei Medici Cattolici
alle Nazioni Unite:
R. - Questo
è fondamentale, perché anche tutte queste richieste di eutanasia, di sospensione delle
terapie che vengono da più parti, spesso emergono anche per una sorta di angoscia
da parte degli ammalati e delle loro famiglie che si sentono un po’ abbandonati. Viviamo
in una società, come ha detto giustamente il Santo Padre, nella quale al vertice dei
valori non c’è più il valore della vita, il valore dell’amicizia e della solidarietà,
ma al vertice c’è solo il benessere, l’efficientismo e il profitto. E tuttavia, pur
con il progresso, pur con tanti aspetti positivi delle ricerche tecnologiche, viviamo
in una società nella quale si tende sempre più ad emarginare gli ammalati. Vengono
da più parte ritenuti quasi un peso, un problema e la società tende a risolverlo con
qualsiasi mezzo: da qui, appunto, le istanze di eutanasia e di sospensione dell’alimentazione
e dell’idratazione. D. - E’ la solitudine, dunque, il grande
male dei nostri tempi? R. - La solitudine che deriva anche un
po’ dalla nuova cultura. Nella cultura tradizionale, nella cultura del passato, l’anziano,
l’ammalato, il debole, il malato terminale erano al centro della vita familiare. Nella
nostra cultura, sono relegati ai margini, al mesto ruolo di assistiti. Domina il mito
della salute e chi non è in grado di stare al gioco è tagliato fuori. Le famiglie,
spesso, sono abbandonate, però a volte sono le stesse famiglie, che in casi particolari,
trascurano un po’ l’ammalato, perché anche nelle famiglie non c’è più quella cultura
di farsi carico della persona più debole, della persona che ha necessità di essere
accudita, di ricevere le cure degli altri familiari. D. - Il
Papa, nella Sua visita all’Hospice Sacro Cuore, ha anche sottolineato che pure nelle
condizioni di estrema fragilità, la persona non perde mai la sua dignità. Un tema,
oggi, molto presente, in particolare nel dibattito sulla bioetica... R.
- In questi ultimi tempi, si è parlato molto dell’eutanasia, della sospensione dell’alimentazione,
dell’idratazione. Devo dire che io sono veramente allibito di fronte ad alcune motivazioni
e ad alcune riflessioni che si sentono anche da parte di clinici importanti. Nella
mia modestia, devo dire che nutrizione e idratazione sono sempre atti dovuti, eticamente
oltre che deontologicamente e giuridicamente: questo perché - come ha sottolineato
anche il Comitato di bioetica - sono degli atti indispensabili per garantire le condizioni
fisiologiche di base per la vita. Per cui, acqua e cibo, non possono essere considerati
una terapia medica solo perché vengono somministrati per via artificiale. I nostri
fratelli più deboli, non devono essere considerati delle persone di una categoria
inferiore rispetto agli altri ma, anzi, a maggior ragione hanno bisogno della stessa
dignità che viene riservata a tutte le altre persone. Una dignità ancora maggiore,
proprio perché queste persone devono affrontare delle difficoltà, delle prove ancora
più difficili.