2009-12-14 14:10:12

L’amore arriva dove la medicina si ferma: il commento del prof. Balzaretti alle parole del Papa all’Hospice Sacro Cuore


Accanto alle indispensabili cure cliniche, occorre offrire ai malati gesti concreti di amore e di vicinanza. E’ quanto sottolineato ieri da Benedetto XVI in una commovente visita ai malati nell’Hospice Sacro Cuore al Gianicolo di Roma, centro specializzato per l’assistenza ai malati terminali. Ma quanto concretamente conta questa vicinanza quando si assistono persone vicine alla morte? Al microfono di Alessandro Gisotti, risponde il prof. Franco Balzaretti, rappresentante mondiale dei Medici Cattolici alle Nazioni Unite:RealAudioMP3

R. - Questo è fondamentale, perché anche tutte queste richieste di eutanasia, di sospensione delle terapie che vengono da più parti, spesso emergono anche per una sorta di angoscia da parte degli ammalati e delle loro famiglie che si sentono un po’ abbandonati. Viviamo in una società, come ha detto giustamente il Santo Padre, nella quale al vertice dei valori non c’è più il valore della vita, il valore dell’amicizia e della solidarietà, ma al vertice c’è solo il benessere, l’efficientismo e il profitto. E tuttavia, pur con il progresso, pur con tanti aspetti positivi delle ricerche tecnologiche, viviamo in una società nella quale si tende sempre più ad emarginare gli ammalati. Vengono da più parte ritenuti quasi un peso, un problema e la società tende a risolverlo con qualsiasi mezzo: da qui, appunto, le istanze di eutanasia e di sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione.
 
D. - E’ la solitudine, dunque, il grande male dei nostri tempi?
 
R. - La solitudine che deriva anche un po’ dalla nuova cultura. Nella cultura tradizionale, nella cultura del passato, l’anziano, l’ammalato, il debole, il malato terminale erano al centro della vita familiare. Nella nostra cultura, sono relegati ai margini, al mesto ruolo di assistiti. Domina il mito della salute e chi non è in grado di stare al gioco è tagliato fuori. Le famiglie, spesso, sono abbandonate, però a volte sono le stesse famiglie, che in casi particolari, trascurano un po’ l’ammalato, perché anche nelle famiglie non c’è più quella cultura di farsi carico della persona più debole, della persona che ha necessità di essere accudita, di ricevere le cure degli altri familiari.
 
D. - Il Papa, nella Sua visita all’Hospice Sacro Cuore, ha anche sottolineato che pure nelle condizioni di estrema fragilità, la persona non perde mai la sua dignità. Un tema, oggi, molto presente, in particolare nel dibattito sulla bioetica...
 
R. - In questi ultimi tempi, si è parlato molto dell’eutanasia, della sospensione dell’alimentazione, dell’idratazione. Devo dire che io sono veramente allibito di fronte ad alcune motivazioni e ad alcune riflessioni che si sentono anche da parte di clinici importanti. Nella mia modestia, devo dire che nutrizione e idratazione sono sempre atti dovuti, eticamente oltre che deontologicamente e giuridicamente: questo perché - come ha sottolineato anche il Comitato di bioetica - sono degli atti indispensabili per garantire le condizioni fisiologiche di base per la vita. Per cui, acqua e cibo, non possono essere considerati una terapia medica solo perché vengono somministrati per via artificiale. I nostri fratelli più deboli, non devono essere considerati delle persone di una categoria inferiore rispetto agli altri ma, anzi, a maggior ragione hanno bisogno della stessa dignità che viene riservata a tutte le altre persone. Una dignità ancora maggiore, proprio perché queste persone devono affrontare delle difficoltà, delle prove ancora più difficili.







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