Convegno all’Urbaniana su sentenza di Strasburgo e radici cristiane: la riflessione
del cardinale Tauran e il punto sulla petizione dell’Europarlamento a difesa del Crocifisso
nelle scuole
“Dopo la sentenza della Corte dei diritti umani di Strasburgo quali radici cristiane
per l’Europa?” È stato questo il tema del convegno che si è svolto ieri a Roma all’Università
Urbaniana. All’incontro sono intervenuti, tra gli altri, il cardinale Jean Louis Tauran
presidente del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, e Rocco Buttiglione
vice presidente della Camera dei deputati. Marina Tomarro ha intervistato il
cardinale Jean Louis Tauran:
R. – Le radici
cristiane sono un dato di fatto, perché la prima scuola, le prime università sono
state fondate dalla Chiesa. Alcuino era un monaco e quindi noi non possiamo capire
l’Europa senza questi elementi, che non sono dei concetti, ma dei fatti storici. Quindi,
noi dobbiamo avere un’identità per sopravvivere, se no non abbiamo nessuna consistenza.
D. – Perché è così grave questa sentenza della Corte
di Strasburgo, che appunto vorrebbe togliere il crocifisso dalle aule e dai luoghi
pubblici?
R. – Io penso che, prima di tutto, sia
un’ingerenza nella cultura di un popolo. Questa è una questione di identità. Il crocifisso
fa parte della cultura in Italia e quindi il popolo italiano ha tutto il diritto di
conservare la sua specificità culturale.
D. – Quale
deve essere il ruolo dei cristiani all’interno proprio dell’Europa per favorire le
radici cattoliche, cristiane?
R. – Essere consapevoli
che sono portatori di senso e quindi hanno il compito di avere il coraggio della differenza
per portare il contributo specifico del cristianesimo nel dibattito pubblico di oggi.
Noi, come ho detto, non chiediamo asilo, siamo parte di questa realtà della società;
Dio ci ha piantato in questo mondo, in questa società di oggi per fiorire, e quindi
noi non dobbiamo avere nessun complesso: siamo parte di questo mondo e siamo decisi
più che mai a contribuire allo sviluppo integrale degli europei.
Il 3 novembre
scorso la Corte europea dei diritti dell’uomo, che fa capo al Consiglio d’Europa (organismo
a 47 Paesi distinto dall’Unione Europea) ha emesso la sentenza con cui si dava ragione
a una signora che chiedeva la rimozione del Crocifisso dalle aule scolastiche italiane.
Tra stupore e disappunto, l’11 novembre al Parlamento Europeo è stata presentata una
petizione per contestare la sentenza che gran parte del mondo politico italiano deplora.
Fausta Speranza ha intervistato l’europarlamentare Erminia Mazzoni,
presidente della Commissione Petizioni del Parlamento Europeo:
R. – La petizione
è stata presentata dall’onorevole Moscardini e poi sottoscritta da un numero considerevole
di altri parlamentari. Adesso questa petizione farà il suo corso, seguendo quelle
che sono le procedure della vecchia Europa, diciamo così. Cioè ancora con le procedure
precedenti il Trattato di Lisbona. Comunque verrà “calendarizzata” quanto prima e
mi riprometto come presidente di dare una corsia preferenziale a questa petizione.
Verrà discussa, ascoltando i firmatari, dopo di che si aprirà una procedura di verifica,
che vedrà sicuramente coinvolti anche gli organismi delle altre istituzioni europee.
Fondamentalmente si vuole valutare - perché questa è la domanda contenuta nella petizione
– quale e quanto spazio intendono dare le istituzioni europee, in particolare il Parlamento
europeo, agli organi giurisdizionali, anche peraltro appartenenti ad altre istituzioni,
nell’ambito della verifica dei valori che appartengono alle comunità dell’Unione Europea.
E questo perché in questo caso la sentenza della Corte europea è entrata nel merito
della valutazione dei nostri valori e ha creato un discrimine gravissimo. La nostra
Unione Europea è un’unione che, benché non abbia iscritto in maniera esplicita determinati
valori nel preambolo di questo trattato, è una comunità di Stati, una comunità di
popoli che sono uniti da comuni radici giudaico-cristiane, e la nostra iconografia,
i nostri simboli, la nostra storia non possono essere calpestati da una sentenza.
La petizione ha di particolare che è di iniziativa parlamentare. Normalmente le petizioni
che ricevo come presidente della Commissione sono d’iniziativa cittadina. In questo
caso si è dato vita ad un’iniziativa di natura parlamentare, perché i colleghi che
hanno presentato questa petizione hanno ritenuto di doversi avvalere dell’ausilio
della Commissione che presiedo per portare avanti questa battaglia contro una sentenza
che tutti quanti riteniamo non giusta e soprattutto una sentenza che invade una sfera
che non è di competenza degli organi giudiziari ma che è di competenza della libera
determinazione politica delle parti aderenti ai trattati istitutivi dell’Unione Europea.
D.
– Onorevole, dunque, ci sta dicendo che potrebbe esserci spazio anche per un’iniziativa
popolare che affianchi o corra parallela a quella dei parlamentari? R.
– Questo sicuramente spero ci possa essere. I primi ‘stilatori’ delle petizioni sono
i cittadini, i primi titolari di questo diritto di chiedere attraverso una petizione
un comportamento diverso alle istituzioni europee. Fino ad oggi è l’unico strumento
che i cittadini avevano: da oggi con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona c’è
un potere aggiunto per i cittadini, perché i cittadini possono proporre anche iniziative
legislative con diritto di iniziativa popolare. Con un milione di firme provenienti
da un numero di Stati sufficientemente alto, i cittadini possono chiedere alle istituzioni
europee, quindi alla Commissione europea, al Parlamento europeo, di legiferare in
una specifica materia e in una certa direzione.