Il commento di don Massimo Serretti al Vangelo della Domenica
In questa Terza Domenica di Avvento la Liturgia ci presenta il passo del Vangelo in
cui le folle, in attesa del Cristo, seguono la predicazione di Giovanni Battista,
domandandogli:«Che cosa dobbiamo fare?». Giovanni risponde:
«Chi ha due
tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto».
Su
questo brano del Vangelo, ascoltiamo il commento del teologo, don Massimo Serretti,
docente di Dogmatica alla Pontificia Università Lateranense:
Nella lingua
italiana 'essere in attesa' è sinonimo di gravidanza, lo si dice di una donna che
è incinta e aspetta un bambino. L'attesa è quindi il tempo che precede il parto nel
quale, colui che è già misteriosamente, ma realissimamente presente, inizia a manifestarsi
con una pienezza maggiore. L'attesa è qui attesa di una manifestazione di una presenza
personale. L'attesa è un'aspettativa di qualcuno. E questo "qualcuno", venendo, cambia
tutto: cambia lo statuto del proprio essere, cambia lo stile di vita, cambia lo sguardo
su di sé e sul mondo.
Un uomo vivo è un uomo che
ha concepito ed attende. L'uomo sterile e sterilizzato non attende nulla e nessuno,
il perimetro della sua vita coincide col perimetro del proprio "io" e questo perimetro
è fatalmente tombale.
Dice il Vangelo di Luca: «Tutto
il popolo era in attesa». Gesù era già presente e il Battista suscita l'attesa sopita.
E' un riscuotimento, un sussulto vitale, documentato inequivocabilmente dalla domanda
in bocca a tutti: «Che cosa dobbiamo fare?» Quando l'uomo presagisce l'avvento di
Dio mediante l'annuncio del testimone, sperimenta immediatamente in sé un cambiamento
che, se accolto, chiede la trasformazione anche dell'agire. Attesa operosa, perché
gravida di presenza.