2009-12-11 14:32:40

Padre Cantalamessa nella seconda predica di Avvento: il sacerdote sia il buon profumo di Dio nel mondo


Ogni sacerdote dovrebbe manifestare “il buon profumo di Dio nel mondo”. Con questa immagine, padre Raniero Cantalamessa, ha espresso uno dei passaggi centrali della sua seconda predica di Avvento, tenuta questa mattina alla presenza del Papa e dei membri della Curia Romana. Parlando della sacralità conferita al sacerdozio dall’unzione sacerdotale, il predicatore della Casa pontificia ha stigmatizzato, viceversa, l’infedeltà di quei presbiteri che, dando scandalo, provocano il rifiuto di Cristo da parte della gente. Il servizio di Alessandro De Carolis: RealAudioMP3

E’ possibile che il “profumo” di Dio si trasformi in “lezzo”? Sì, se chi è stato deputato a diffonderlo, per grazia e ministero, come un sacerdote si comporta con quell’“arido intellettualismo”, o peggio, con quegli atteggiamenti scandalosi che impediscono al profumo di espandersi o ne causano la degenerazione. L’articolata metafora è stata utilizzata da padre Cantalamessa dare incisività alla meditazione dedicata ai sacerdoti come “ministri dello Spirito”, secondo la definizione di San Paolo. Come Cristo, il sacerdote è “unto” da Dio e tale “unzione” comporta degli effetti concreti, sperimentabili, nella giornata di un sacerdote:

“Avere l’unzione significa, dunque, avere lo Spirito Santo come ‘compagno inseparabile’ nella vita, fare tutto ‘nello Spirito’, alla sua presenza, con la sua guida (…) Tutto questo si traduce, all’esterno, ora in soavità, calma, pace, ora in autorità (...) È una condizione caratterizzata da una certa luminosità interiore che dà facilità e padronanza nel fare le cose. Un po’ come è la ‘forma’ per l’atleta e l’ispirazione per il poeta”.

L’unzione, dunque, “conferisce un reale potere interiore” grazie allo Spirito Santo. Tuttavia, ha osservato padre Cantalamessa, c’è “un rischio comune” a tutti i Sacramenti:

“...quello di fermarsi all’aspetto rituale e canonico dell’ordinazione, alla sua validità e liceità, e non dare abbastanza importanza (…) all’effetto spirituale, alla grazia propria del Sacramento, in questo caso al frutto dell’unzione nella vita del sacerdote. L’unzione sacramentale ci abilita a compiere certe azioni sacre, come governare, predicare, istruire; ci dà, per così dire, l’autorizzazione a fare certe cose, non necessariamente l’autorità o autorevolezza nel farle; assicura la successione apostolica, non necessariamente il successo apostolico”.

Se allora “l’unzione è data dalla presenza dello Spirito ed è dono suo, che cosa possiamo fare noi per averla?”, si è chiesto il predicatore francescano:

“Anzitutto pregare. C’è una promessa esplicita di Gesù: ‘Il Padre celeste donerà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono’. Poi rompere anche noi il vaso di alabastro come la peccatrice in casa di Simone. Il vaso è il nostro io, talvolta il nostro arido intellettualismo. Romperlo, significa rinnegare se stessi, cedere a Dio, con un atto esplicito, le redini della nostra vita. Dio non può consegnare il suo Spirito a chi non si consegna interamente a lui”.

Non sempre, ha proseguito padre Cantalamessa, per un sacerdote è così spontaneo cogliere in profondità il significato dell’unzione sacramentale e soprattutto ricorrervi come una “risorsa”. In questo caso, ha detto...

“...succede come con un flacone di profumo. Noi possiamo tenerlo in tasca o stringerlo nella mano finché vogliamo, ma se non lo apriamo il profumo non si effonde, è come se non ci fosse”.

E citando un passo di San Paolo ai Corinzi, padre Cantalamessa ha ribadito:

“Questo dovrebbe essere il sacerdote: il buon profumo di Cristo nel mondo! Ma l’Apostolo ci mette sull’avviso, aggiungendo subito dopo: ‘Abbiamo questo tesoro in vasi di terra’. Sappiamo fin troppo bene, dalla dolorosa e umiliante esperienza recente, cosa tutto questo significa. Gesù diceva agli apostoli: ‘Voi siete il sale della terra; ma, se il sale diventa insipido, con che lo si salerà? Non è più buono a nulla se non a essere gettato via e calpestato dagli uomini’. La verità di questa parola di Cristo è dolorosamente sotto i nostri occhi. Anche l’unguento se perde l’odore e si guasta, si trasforma nel suo contrario, in lezzo, e anziché attirare a Cristo, allontana da lui”.

“Tanti”, ha constatato il predicatore pontificio, sono i sacerdoti, “ignorati dal mondo”, che diffondono “nel loro ambiente il buon odore di Cristo e del Vangelo”. Ed ha concluso citando il profilo ideale del sacerdote descritto da padre Lacordaire, religioso francese dell’Ottocento:

“Vivere in mezzo al mondo senza alcun desiderio per i suoi piaceri; essere membro di ogni famiglia, senza appartenere ad alcuna di esse; condividere ogni sofferenza, essere messo a parte di ogni segreto, guarire ogni ferita; andare ogni giorno dagli uomini a Dio per offrirgli la loro devozione e le loro preghiere, e tornare da Dio agli uomini per portare a essi il suo perdono e la sua speranza; avere un cuore di acciaio per la castità e un cuore di carne per la carità (...) O Dio, che genere di vita è mai questo? È la tua vita, o sacerdote di Gesù Cristo!”.







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