Padre Cantalamessa nella seconda predica di Avvento: il sacerdote sia il buon profumo
di Dio nel mondo
Ogni sacerdote dovrebbe manifestare “il buon profumo di Dio nel mondo”. Con questa
immagine, padre Raniero Cantalamessa, ha espresso uno dei passaggi centrali della
sua seconda predica di Avvento, tenuta questa mattina alla presenza del Papa e dei
membri della Curia Romana. Parlando della sacralità conferita al sacerdozio dall’unzione
sacerdotale, il predicatore della Casa pontificia ha stigmatizzato, viceversa, l’infedeltà
di quei presbiteri che, dando scandalo, provocano il rifiuto di Cristo da parte della
gente. Il servizio di Alessandro De Carolis:
E’ possibile
che il “profumo” di Dio si trasformi in “lezzo”? Sì, se chi è stato deputato a diffonderlo,
per grazia e ministero, come un sacerdote si comporta con quell’“arido intellettualismo”,
o peggio, con quegli atteggiamenti scandalosi che impediscono al profumo di espandersi
o ne causano la degenerazione. L’articolata metafora è stata utilizzata da padre Cantalamessa
dare incisività alla meditazione dedicata ai sacerdoti come “ministri dello Spirito”,
secondo la definizione di San Paolo. Come Cristo, il sacerdote è “unto” da Dio e tale
“unzione” comporta degli effetti concreti, sperimentabili, nella giornata di un sacerdote:
“Avere
l’unzione significa, dunque, avere lo Spirito Santo come ‘compagno inseparabile’ nella
vita, fare tutto ‘nello Spirito’, alla sua presenza, con la sua guida (…) Tutto questo
si traduce, all’esterno, ora in soavità, calma, pace, ora in autorità (...) È una
condizione caratterizzata da una certa luminosità interiore che dà facilità e padronanza
nel fare le cose. Un po’ come è la ‘forma’ per l’atleta e l’ispirazione per il poeta”.
L’unzione, dunque, “conferisce un reale potere interiore” grazie allo
Spirito Santo. Tuttavia, ha osservato padre Cantalamessa, c’è “un rischio comune”
a tutti i Sacramenti:
“...quello di fermarsi all’aspetto rituale e canonico
dell’ordinazione, alla sua validità e liceità, e non dare abbastanza importanza (…)
all’effetto spirituale, alla grazia propria del Sacramento, in questo caso al frutto
dell’unzione nella vita del sacerdote. L’unzione sacramentale ci abilita a compiere
certe azioni sacre, come governare, predicare, istruire; ci dà, per così dire, l’autorizzazione
a fare certe cose, non necessariamente l’autorità o autorevolezza nel farle; assicura
la successione apostolica, non necessariamente il successo apostolico”.
Se
allora “l’unzione è data dalla presenza dello Spirito ed è dono suo, che cosa possiamo
fare noi per averla?”, si è chiesto il predicatore francescano:
“Anzitutto
pregare. C’è una promessa esplicita di Gesù: ‘Il Padre celeste donerà lo Spirito Santo
a coloro che glielo chiedono’. Poi rompere anche noi il vaso di alabastro come la
peccatrice in casa di Simone. Il vaso è il nostro io, talvolta il nostro arido intellettualismo.
Romperlo, significa rinnegare se stessi, cedere a Dio, con un atto esplicito, le redini
della nostra vita. Dio non può consegnare il suo Spirito a chi non si consegna interamente
a lui”.
Non sempre, ha proseguito padre Cantalamessa, per un sacerdote
è così spontaneo cogliere in profondità il significato dell’unzione sacramentale e
soprattutto ricorrervi come una “risorsa”. In questo caso, ha detto...
“...succede
come con un flacone di profumo. Noi possiamo tenerlo in tasca o stringerlo nella mano
finché vogliamo, ma se non lo apriamo il profumo non si effonde, è come se non ci
fosse”.
E citando un passo di San Paolo ai Corinzi, padre Cantalamessa
ha ribadito:
“Questo dovrebbe essere il sacerdote: il buon profumo di Cristo
nel mondo! Ma l’Apostolo ci mette sull’avviso, aggiungendo subito dopo: ‘Abbiamo questo
tesoro in vasi di terra’. Sappiamo fin troppo bene, dalla dolorosa e umiliante esperienza
recente, cosa tutto questo significa. Gesù diceva agli apostoli: ‘Voi siete il sale
della terra; ma, se il sale diventa insipido, con che lo si salerà? Non è più buono
a nulla se non a essere gettato via e calpestato dagli uomini’. La verità di questa
parola di Cristo è dolorosamente sotto i nostri occhi. Anche l’unguento se perde l’odore
e si guasta, si trasforma nel suo contrario, in lezzo, e anziché attirare a Cristo,
allontana da lui”.
“Tanti”, ha constatato il predicatore pontificio, sono
i sacerdoti, “ignorati dal mondo”, che diffondono “nel loro ambiente il buon odore
di Cristo e del Vangelo”. Ed ha concluso citando il profilo ideale del sacerdote descritto
da padre Lacordaire, religioso francese dell’Ottocento:
“Vivere
in mezzo al mondo senza alcun desiderio per i suoi piaceri; essere membro di ogni
famiglia, senza appartenere ad alcuna di esse; condividere ogni sofferenza, essere
messo a parte di ogni segreto, guarire ogni ferita; andare ogni giorno dagli uomini
a Dio per offrirgli la loro devozione e le loro preghiere, e tornare da Dio agli uomini
per portare a essi il suo perdono e la sua speranza; avere un cuore di acciaio per
la castità e un cuore di carne per la carità (...) O Dio, che genere di vita è mai
questo? È la tua vita, o sacerdote di Gesù Cristo!”.