Gli Usa riconoscono i danni della C02 per l’ambiente e entra nel vivo il vertice di
Copenaghen
Dopo la prima giornata di accoglienza, è entrata oggi nel vivo la conferenza sul clima
di Copenaghen che vede le delegazioni di oltre 190 Paesi impegnate nei negoziati
per un nuovo accordo sul taglio delle emissioni di gas serra. Intanto cresce l’ottimismo
per l’esito del vertice, dopo che l’agenzia per la protezione ambientale Usa ha decretato
ufficialmente che le emissioni di Co2 sono una minaccia per la salute umana, offrendo
così al presidente Obama maggiore spazio di manovra al tavolo delle trattative. E
in questi giorni sono tante le iniziative organizzate dalle Ong in tema clima, fra
le quali si segnala la campagna della Caritas “Stand up 2009 Uniti contro la povertà
e i cambiamenti climatici”. Fabio Colagrande ha intervistato Paolo Beccegato
responsabile dell’area internazionale della Caristas:
R. – Il cambiamento
climatico e, in generale, tutto ciò che è disastro e danno all’ambiente, ha delle
ripercussioni su tutti, ma in particolare sui più poveri: pensiamo al sud del mondo,
ai processi di desertificazione che riducono per esempio le terre arabili, ai processi
di innalzamento delle acque che mettono in conflitto agricoltori con pescatori. L’aumento
del numero dei disastri naturali negli ultimi 40 anni del 600 per cento, l’aumento
dei disastri tecnologici del 1500 per cento sempre negli ultimi 40 anni, danno un’idea
di come il problema sia di tutti, ma sia soprattutto dei più poveri.
D.
– Guardando a questa situazione da un punto di vista positivo, voi di Stand up 2009
dite “la stretta correlazione tra povertà e clima può diventare un’opportunità”...
R.
– Esattamente. Questo vale in termini preventivi. Quindi, lavorare per esempio sulla
riduzione delle emissioni di anidride carbonica, lavorare per una maggiore efficienza
energetica, lavorare per una maggiore diversificazione delle risorse e della produzione
di energia con energie rinnovabili, tutto ciò può essere un bene per il domani, ma
può essere un bene anche per l’oggi, perché per esempio darebbe modo di creare molti
posti di lavoro. Quindi, il tema addirittura si interseca con la crisi economica in
atto, si interseca con la possibilità di creare occupazione nel nord, come nel sud
del mondo. E quindi quello che si chiede è certamente un impegno personale di ciascuno
in ordine a questo, ma anche un impegno dei leader politici in questi giorni, perché
prendano delle decisioni lungimiranti, dove nel breve periodo certamente si chiede
un investimento, che però certamente verrà più che ripagato nel medio e lungo periodo.
D.
– I massimi esperti dell’Onu sulle questioni climatiche hanno detto che perché questa
conferenza sia un successo occorre che i Paesi sviluppati prendano i loro impegni,
ma anche che i Paesi in via di sviluppo assumano delle responsabilità...
R.
– Esattamente. Oggi bisogna dire che in termini assoluti, i più grandi “inquinatori”,
coloro che producono più CO2, anidride carbonica, sono gli
Stati Uniti e la Cina. In pochi anni diverranno Cina, India e Brasile i più grandi
“inquinatori” della Terra. Usiamo questo termine un po’ duro, ma la maggiore emissione
e produzione di anidride carbonica viene presa come uno degli indicatori, poi effettivamente
il discorso è molto più complesso. Ecco che quindi l’impegno ad aiutare i Paesi più
poveri a ridurre le loro emissioni diventa un impegno di tutti. Non può essere lasciato
solo sulle loro spalle, perché fino ad oggi i grandi “inquinatori” sono stati i Paesi
più ricchi e la situazione ora sta cambiando. Quindi, non si può oggi attribuire le
responsabilità solo su chi ha sostanzialmente fino ad oggi subito. In prospettiva,
però, bisogna lavorare veramente tutti insieme, alzarsi in piedi tutti insieme, come
diceva la nostra campagna. E i cittadini italiani e quelli di tutto il mondo hanno
risposto in modo massiccio a sottolineare come non sia solo un gesto vuoto, ma ci
sia piena consapevolezza rispetto all’importanza di queste decisioni.