Mons. Marchetto: riportare la pace sulle strade. Un milione 300 mila ogni anno le
vittime degli incidenti
Una dichiarazione congiunta è stato il risultato concreto della prima Conferenza globale
ministeriale sulla sicurezza stradale svoltasi dal 19 al 20 novembre a Mosca. Al Convegno,
convocato dalle Nazioni Unite e organizzato dal Governo russo, con l’apporto di vari
organismi pubblici e privati, hanno partecipato i rappresentanti di circa 150 Paesi
e di varie Organizzazioni internazionali e non governative. In rappresentanza della
Santa Sede c’era l’arcivescovo Agostino Marchetto, segretario del Pontificio
Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti che si occupa, fra l’altro,
della Pastorale della Strada. Fabio Colagrande lo ha intervistato:
R. - È stato
un po’ il cristallizzarsi di una presa di coscienza, a livello globale, di un dramma,
di una guerra, che ogni giorno si svolge sulle strade del mondo, con 1.300.000 morti
e 50 milioni di feriti e handicappati ogni anno. La lotta per ottenere la pace sulle
strade, ed evitare nuove morti, è una causa che tutti i membri delle Nazioni Unite
hanno accettato di combattere in comune. Anche se essi sono divisi su tanti punti
dell’agenda internazionale, su questo sono uniti e hanno approvato a Mosca una Dichiarazione
Congiunta impegnativa.
D. - Non c’è il rischio che si tratti di un’altra
dichiarazione, come altre, senza effetto?
R. - E’ vero che anche in
questo caso l’applicazione del testo della Dichiarazione dipende dalla volontà politica
degli Stati. Ma, come dicevo, su questo tema della sicurezza stradale, l’applicazione
si può facilmente concretare, anche perché a Mosca si sono manifestati favorevoli
ad attuarla, pure con aiuti finanziari già acquisiti, a cominciare da quelli della
Banca Mondiale, numerosi e validi “partner”. Fra di essi vi sono altresì grandi compagnie
come Shell, Mercedes, Michelin, ecc. L’impegno è ragionevole poiché, come affermato
da qualcuno nella capitale russa, l’investimento in campo di sicurezza stradale non
è un “costo”, ma un aiuto allo sviluppo. Per essere più chiaro rilevo che, infatti,
solo i costi materiali degli incidenti stradali rubano, per così dire, in molti Paesi,
il 2-3% del PIL. Noi, poi, guardiamo naturalmente soprattutto ai costi umani, ai morti,
ai feriti, a chi rimane su un letto o in carrozzella, ai dolori, alle tragedie di
tante famiglie delle vittime, a cui si è fatto eco, anche recentemente Benedetto XVI,
in occasione dell’Angelus del 15 corrente. E non è la prima volta.
D.
- È stato tenuto in considerazione a Mosca il necessario “partenariato” delle istituzioni
religiose nella lotta per la sicurezza stradale?
R.
- Devo confermare con pena che lo è stato in tono minore, anche per la nota “riserva”
delle Nazioni Unite - credo - a rendere esplicita la collaborazione religiosa, diciamo,
a favore dei grandi problemi mondiali. In effetti, la Dichiarazione di Mosca si riferisce
esplicitamente alla collaborazione necessaria con la società civile, ma non alle istituzioni
religiose. Tuttavia tre partecipanti, e la mia dichiarazione, ne hanno fatto menzione,
con aggiunta di quella del relatore della tavola rotonda cui ho partecipato e al quale
avevo espresso la mia meraviglia e preoccupazione per l’assenza. Infine una parola
sul futuro della sicurezza stradale, visto da Mosca. Si è pensato che vi sarà una
“decade”, (2011 - 2020) dedicata all’azione riguardo alla sicurezza stradale, che
dovrebbe mirare a stabilizzare e poi ridurre il numero dei morti sulle strade del
mondo; un “Forum” mondiale, il prossimo anno a S. Pietroburgo, per coinvolgere i giovani
- i più colpiti, in fatto di morti e feriti - nella grande lotta per la vita. E infine
un incontro – il secondo - del genere di quello or ora celebrato, fra cinque anni,
nonché un’opera di “advocacy” affinché le Nazioni Unite diano il loro assenso ai contenuti
della Dichiarazione di Mosca.
D. - In occasione del
viaggio a Mosca lei ha potuto partecipare ad un altro avvenimento che ha a che fare
con il suo interesse per la corretta interpretazione del Concilio Ecumenico Vaticano
II. Vuole parlarcene?
R. - Grazie per darmi l’opportunità di farne
cenno poiché la grande causa di una corretta ermeneutica conciliare è secondo me vitale,
e non solo secondo me. In effetti la nota e benemerita Biblioteca dello Spirito, cattolica,
di Mosca ha approfittato della mia presenza per presentare la traduzione in russo
di quello che considero “il cuore” del mio volume sul Concilio in parola, che porta
il sottotitolo di “Contrappunto per la sua storia”. Ho aderito volentieri alla richiesta
di traduzione poiché, al dire di molti, finora in lingua russa è presente un’opera
dedicata al Vaticano II che lo indica come una rottura della Tradizione cattolica.
Da ciò lo sconcerto e il giudizio negativo su di esso da parte di molti ortodossi,
per i quali del resto Papa Benedetto sta portando la Chiesa Cattolica sui binari della
Tradizione. Orbene un’opera come la mia, che aiuta a comprendere che il Vaticano II
è stato di rinnovamento di aggiornamento, di continuità o di riforma, non può che
aiutare nel ricupero della giusta considerazione conciliare e della stessa Chiesa
Cattolica. Aggiungo, ed è pensiero del tutto personale e pieno di rispetto, che un
Vaticano II conosciuto nella sua verità storica e teologica potrebbe aiutare i nostri
fratelli ortodossi nel loro cammino verso un auspicato Concilio panortodosso.