"Siate un segno di speranza per i nostri tempi": il messaggio di mons. Marchetto nell'odierna
Giornata mondiale del volontariato indetta dall'Onu
“Un segno di speranza per i nostri tempi” così mons. Agostino Marchetto, segretario
del Pontificio Consiglio per i Migranti e gli Itineranti, ha definito i tanti volontari
riuniti a Roma per la cerimonia di consegna del Premio internazionale del Volontariato.
Un’iniziativa - promossa dalla Focsiv, la Federazione Organismi Cristiani Servizio
Internazionale Volontario - che cade in occasione dell’odierna Giornata mondiale del
Volontariato indetta dalle Nazioni Unite. Benedetta Capelli:
Lo sviluppo
umano e il fenomeno dell’immigrazione sono i due temi al centro della riflessione
di mons. Agostino Marchetto che, ricordando la Popolorum Progressio di Paolo
VI ma soprattutto la Caritas in Veritate di Benedetto XVI, ha illustrato il
valore del volontariato a servizio della “famiglia umana”. A proposito dello sviluppo,
l’arcivescovo ha richiamato la definizione di Papa Montini che invitava a “far uscire
i popoli anzitutto dalla fame, dalla miseria, dalle malattie endemiche e dall'analfabetismo”,
attraverso una “partecipazione attiva” all’economia, all’evoluzione “verso società
istruite e solidali” e al consolidamento di “regimi democratici in grado di assicurare
libertà e pace”. Aspettative che non sembra siano state soddisfatte perché in molti
Paesi permane ad oggi la fame e l’insicurezza di vita. “Lo sviluppo - osserva ancora
mons. Marchetto citando Benedetto XVI - continua ad essere gravato da distorsioni
e drammatici problemi”. Deve invece riguardare “la totalità della persona in ogni
sua dimensione” e realizzare il destino stesso dell’uomo che non può prescindere dalla
sua natura e dai suoi rapporti con gli altri.
Lo
sviluppo è dunque “umanamente e cristianamente inteso, il cuore del messaggio sociale
cristiano”. Ma è soprattutto “quell’esplosione dell’interdipendenza planetaria” a
rappresentare una “grande opportunità” se “guidata dalla carità”. “La società sempre
più globalizzata - prosegue mons. Marchetto - ci rende vicini, ma non ci rende fratelli”
e questa “mancanza di fraternità tra gli uomini e tra i popoli” si annovera fra le
cause più gravi del sottosviluppo. Per questo il segretario del dicastero vaticano
esorta a trasformare la maggiore vicinanza tra i popoli in “vera comunione” se si
vuole arrivare ad un autentico sviluppo, che nasce in particolare dal “potenziale
di amore” che si mette in comune. Uno sviluppo che dipende “dal riconoscimento dell'essere
una sola famiglia che collabora in vera comunione ed è costituita da soggetti che
non vivono semplicemente l'uno accanto all'altro”.
In
questo contesto, mons. Marchetto ricorda il fenomeno dell’immigrazione che coinvolge
tutti gli Stati e che esige una politica lungimirante di cooperazione “nella prospettiva
di salvaguardare le esigenze e i diritti delle persone e delle famiglie emigrate e,
al tempo stesso, quelli delle società di approdo degli stessi emigrati”. Pertanto,
si solleva la “questione etica della ricerca di un nuovo ordine economico internazionale
per una più equa distribuzione dei beni della terra, che contribuirebbe a ridurre
e moderare i flussi delle popolazioni in difficoltà”. Uno sviluppo che richiede una
nuova visione della comunità mondiale in una “prospettiva del bene comune universale”
che contribuisce a “dare forma di unità e pace alla città dell'uomo, e renderla in
qualche misura prefiguratrice della città senza barriere di Dio”. In tale direzione
- ricorda mons. Marchetto - bisogna guardare all’impegno del volontariato che con
la sua opera contribuisce a creare “una città senza barriere e muri”. Ricordando le
parole di Giovanni Paolo II, il presule definisce i volontari “un raggio di speranza
che squarcia le tenebre della solitudine”, “scuola di vita soprattutto per i giovani”
in grado di contribuire alla creazione di “una cultura di solidarietà e di accoglienza,
aperta al dono gratuito di sé”. Infine, un incoraggiamento a proseguire sulla strada
intrapresa per essere davvero “un segno di speranza per i nostri tempi”.