La ritrattazione delle accuse del Giornale di Feltri contro Dino Boffo. Il neodirettore
di Avvenire Tarquinio: atto dovuto al mio predecessore e alla verità
A distanza di tre mesi dalle dimissioni di Dino Boffo dalla guida del quotidiano Avvenire,
il direttore del Giornale, Vittorio Feltri, ha ritrattato ieri le accuse pubblicate
dal quotidiano milanese all’ex direttore del quotidiano della Cei, frutto - stigmatizza
oggi il quotidiano cattolico - di informazioni rilevatesi superficiali, false ed infamanti.
La ricostruzione dei fatti non corrisponde al vero, scriveva Feltri sul Giornale di
ieri, defininendo Boffo, giornalista “prestigioso e apprezzato”. Nell’edizione odierna,
Avvenire prende atto della “tardiva ammissione” del Giornale e rilancia il tema del
ruolo dell’informazione al servizio della verità. Luca Collodi ha chiesto al
direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, come spiegare la scelta del quotidiano
di aprire con un titolo a tutta pagina sulla vicenda e con una grafica quasi mai utilizzata
dal quotidiano cattolico:
R. - C’è
bisogno, credo, di gesti che ci scuotano. E la prima pagina di oggi, la prima pagina
di “Avvenire”, vuole essere anche questo, oltre che un segno di verità. Nel pensarla,
ieri, ci siamo posti la necessità, abbiamo di nuovo riflettuto sul bisogno di cambiare
concretamente strada e di riportare, anche nel confronto pubblico e politico nel nostro
Paese, almeno un tasso decente di civiltà.
D. - Il
direttore Boffo esce da questa vicenda a testa alta…
R.
- Dino Boffo ha avuto giustizia, nel senso che anche chi l’aveva preso di mira in
modo martellante - profondamente ingiusto - ha alla fine ammesso di aver scritto su
di lui cose infamanti e per nulla rispondenti alla realtà. Vittorio Feltri non fa
a cuor leggero un gesto così pesante di riparazione. Credo che l’abbia fatto perché
lo doveva: lo doveva a Boffo, certamente, lo doveva ai suoi lettori e credo che lo
dovesse alla pura e semplice verità dei fatti. La verità ci fa liberi, anche come
giornalisti; ma è estremamente esigente.
D. - L’ammissione
di responsabilità di Feltri dimostra però che nella stampa italiana resta aperto un
problema …
R. - Dino Boffo è una persona limpida,
ha avuto giustizia perché è un galantuomo e il tempo è stato galantuomo con lui. Ma
con i più deboli? Con i più vulnerabili? Con le persone fragili? Come ci comportiamo,
come ripariamo - noi giornalisti - ai torti intollerabili che a volte vengono fatti
con cronache feroci?
D. - Direttore Tarquinio, vale
la pena sollecitare una riflessione su queste tematiche anche da parte degli organi
che, in qualche modo, tutelano la professione giornalistica in Italia?
R.
- Appunto. E’ proprio qui che volevo arrivare: dobbiamo misurarci prima di tutto con
la nostra coscienza, ma certamente la professione giornalistica in Italia è regolata
da un Ordine e ha strutture, anche sindacali, di autotutela che – secondo me – devono
essere capaci oggi di dare segnali limpidi all’opinione pubblica. Ce n’è un grande
bisogno e non c’è tempo da perdere.
D. - Ripristinata
la verità vera su Dino Boffo, il caso - come dice Feltri - “è veramente chiuso”?
R.
- Io credo di sì. Ma, come dicevo, per un caso che si chiude con un atto di riparazione,
resta aperto un grande problema: dobbiamo saper essere responsabili dell’informazione.
Questa vicenda l’ha dimostrato più che mai.