Il cardinale Tettamanzi nel suo discorso alla città per la vigilia di Sant'Ambrogio:
Milano torni grande con la sobrietà e la solidarietà
Non saranno monumenti o infrastrutture a rendere grande Milano. Solo con la sobrietà
e la solidarietà, che unita alla giustizia favorisce lo sviluppo, la città potrà essere
grande. Questo il monito che ieri sera l'arcivescovo della diocesi ambrosiana, il
cardinale Dionigi Tettamanzi, ha rivolto ai milanesi nel tradizionale appuntamento
alla vigilia di Sant’Ambrogio, patrono della città. Il cardinale Tettamanzi, chiede
una solidarietà che “sia in grado di sconfiggere la solitudine di tante persone”.
Il servizio di Fabio Brenna:
Dopo aver
riconosciuto segni di solidarietà nelle famiglie che hanno accolto rom sgomberati
nei giorni scorsi, o negli imprenditori che hanno tenuto duro di fronte alla crisi,
il cardinale Tettamanzi ha chiesto una solidarietà che sia in grado di animare il
corso delle istituzioni. Ma per questo, ha aggiunto, occorre riscoprire la sobrietà:
“Milano
è spesso etichettata come ‘città del fare’. La sobrietà può rinverdire questo nobile
appellativo. Un fare che non deve riguardare solo la dimensione produttiva, ma che
vuole mirare ai risultati concreti a beneficio di tutti gli abitanti. Un risultato
che si raggiungerà eliminando tutto ciò che è superficiale, vuota apparenza, perdita
di tempo e spreco di risorse”.
Un impegno questo
richiesto a chi ha assunto responsabilità pubbliche:
“Sono convinto
che chi per vocazione, per lavoro, per servizio, per mandato pubblico, per elezione
è chiamato ad operare per gli altri debba essere sobrio per incontrare realmente le
donne e gli uomini nelle loro esigenze, per mettere al centro delle proprie attenzioni
i problemi delle persone, delle famiglie e quindi per risolverli. La festa di San’Ambrogio
può suonare come appello ad un sussulto di moralità e di spiritualità nei nostri stili
di vita”.
Il risultato di questo impegno è di avere
persone felici che contribuiscano a costruire una Città migliore. Il cardinale Tettamanzi
invita poi a guardare a Cristo crocifisso come modello, per attraversare le situazioni
umane di fatica nella prospettiva della Resurrezione. Con un invito che richiama recenti
discussioni:
“Ma il Crocifisso è risorto, non limitiamoci
a considerare il Crocifisso come segno di un’identità. Dobbiamo passare dal simbolo
alla realtà. Alla realtà di Gesù Cristo morto, risorto e veniente: persona viva, concreta,
incontrabile, sperimentabile. Conserviamolo questo simbolo, ma soprattutto viviamolo
con coerenza umile, forte e gioiosa”.