Un gruppo di ergastolani ha scritto una lettera aperta a Benedetto XVI descrivendo
la drammatica situazione di chi deve scontare la pena all’ergastolo. “Il riscatto
umano – scrivono - non è possibile con una pena che non potrà mai finire”. Per questo
chiedono che la pena dell’ergastolo venga abolita, che ogni condanna abbia un fine
pena certo. Al loro appello si unisce la Comunità Papa Giovanni XXIII. Alcuni sono
entrati in prigione da ragazzi e oggi, quarantenni, sono “destinati ad invecchiare
in carcere”. Altri erano giovani padri e ora sono nonni. Al Papa ricordano la loro
condanna, quella di “essere colpevoli e prigionieri per sempre”. “Avere l’ergastolo
– scrivono – è come essere morti, ma sentirsi vivi: è perdere la vita prima ancora
di morire”. E “una sofferenza infinita”: la pena dell’ergastolo – aggiungono – “mangia
il cuore e a volte anche l’anima”. In carcere si diventa “non viventi”. Una società
giusta – scrivono gli ergastolani – non dovrebbe prevedere né la pena di morte né
la condanna all’ergastolo. “Non è giustizia far soffrire e togliere la speranza per
sempre”. “Il male – si legge nella lettera inviata al Papa – dovrebbe essere sconfitto
con il bene e non con altro male”. La pena all’ergastolo rende il presente uguale
al passato, “un passato che schiaccia il presente e toglie speranza al futuro”. Per
questo, gli ergastolani chiedono una speranza. Quella più grande per chi deve scontare
la pena all’ergastolo è un fine pena certo. (A cura di Amedeo Lomonaco)