Obama: 30 mila soldati in più per l'Afghanistan: la Nato ne assicura 5000
5000 soldati in più dalla Nato: è la risposta all’annuncio di Obama di assicurare
altri 30.000 uomini per la missione in Afghanistan. Il segretario generale Rasmussen
definisce “cruciale” il sostegno degli alleati per mantenere il carattere multilaterale
della missione. Domani la questione sarà discussa dai ministri degli Esteri della
Nato, alla presenza del segretario di Stato Hillary Clinton, ma già oggi singoli Paesi
hanno assicurato il contributo. Soddisfazione ovviamente da Kabul anche se tra la
popolazione si respira la paura di un incrementarsi della violenza. C’è infatti anche
la risposta dei talebani: "i 30 mila soldati in più non faranno che rafforzare la
resistenza degli insorti". Ma sul discorso di Obama, atteso da settimane, il servizio
di Fausta Speranza:
Trentamila
soldati in più contro il “cancro di al Qaeda”, ma con scadenze precise: il ritiro
comincerà nel luglio 2011. Questo il cuore della nuova strategia Usa per l’Afghanistan
e il Pakistan, che Obama definisce “epicentro dell'estremismo violento praticato da
al Qaeda”, e dove gravi episodi di violenza sono all’ordine del giorno. È il rush
finale di una guerra che l’attuale presidente dice di non aver chiesto ma di aver
adottato come propria, “nell'interesse nazionale dell'America”. Ma il calendario è
“accelerato”: mobilitazione entro agosto e rientro in patria del grosso dei soldati
ben prima della fine del primo mandato di Obama nel gennaio 2013. Nella Eisenhower
Hall della storica accademia militare sull'Hudson, di fronte a cadetti in uniforme
grigia, che dopo la laurea a maggio partiranno per il fronte, Obama spiega che bisogna
“prendere di mira l'insurrezione e render sicuri i centri della popolazione”. L'Afghanistan
non è un nuovo Vietnam, afferma sottolineando che gli Stati Uniti non hanno intenzione
di restare in Afghanistan in eterno. La politica non c'entra, spiega presentando una
strategia che costerà alle già provate casse federali intorno ai 30 miliardi di dollari
nel solo anno fiscale 2010. In tempi di recessione, l'opinione pubblica negli Usa
è ostile all'escalation. E se l'opposizione repubblicana applaude, i progressisti
sono in fermento anche per altri motivi. Nn è stata una decisione facile per il presidente
che la prossima settimana a Oslo accetterà il premio Nobel per la pace. È stata presa
dopo tre mesi di discussione con strateghi militari, generali e alleati.
La
proposta della Casa Bianca ridisegna, in qualche modo, i rapporti con gli altri Paesi
presenti in Afghanistan? Giancarlo La Vella ne ha parlato con Paolo Mastrolilli,
esperto di politica americana, del quotidiano “La Stampa”:
R. – Per
quanto riguarda la Nato, la strategia di Obama è decisiva:se la Nato fallisse questa
operazione – secondo alcuni osservatori – sarebbe a rischio la sua sopravvivenza.
Diciamo che ci sono due aspetti che riguardano i Paesi stranieri: il primo è quello
delle potenze locali, il Pakistan, che ha necessità di aiutare questa nuova strategia
americana per evitare che al Qaeda torni ad impossessarsi dell’Afghanistan e finora
non è stato molto cooperativo Islamabad; dall’altra parte, ci sono i Paesi europei
che attraverso la Nato stanno contribuendo a questo sforzo e che naturalmente vorrebbero
anche loro vedere la luce alla fine del tunnel e quindi una strategia che porti alla
stabilizzazione dell’Afghanistan e alla fine del loro intervento e senza mettere a
rischio il futuro della Nato.
D. – Che cosa cambia
la nuova strategia di Obama?
R. – Certamente ci sono
delle grandi difficoltà, perché i talebani stanno conquistando posizioni, forza, e
c’è il rischio che al Qaeda in qualche modo torni ad infiltrare il Paese. Obama ha
cercato di dare risposte a tutti i suoi sostenitori all’interno degli Stati Uniti
e cioè da una parte ha offerto più militari per portare avanti la strategia che cerca
di stabilizzare il Paese e, dall’altra, ha cercato di offrire un orizzonte entro il
quale questo intervento comincerà a terminare, ossia luglio del 2011. Il rischio è
che questa strategia per certi versi non centri l’obiettivo, perché i suoi critici
sostengono in sostanza che offre ai talebani un orizzonte entro il quale loro devono
resistere per riuscire poi a battere gli americani. Se riusciranno a resistere fino
a luglio del 2011, gli americani cominceranno a ritirarsi e quindi per i talebani
ci sarà la prospettiva di riprendere il controllo del Paese.
D.
– Molti dei sostenitori di Obama sono delusi da questa strategia, perché rivedono
certi meccanismi utilizzati anche da Bush…
R. – Sì,
da una parte, i liberal la criticano perché pensano che mandare altri 30 mila soldati
in una guerra che non rispecchia più le necessità strategiche degli Stati Uniti sia
una scelta sbagliata ma, dall’altra parte, lo criticano anche i repubblicani – e quindi
coloro che appoggiano di più l’apparato militare – perché ritengono che la mobilitazione
di Obama non sia sufficiente e contemporaneamente facilita la sopravvivenza dei talebani.