Benedetto XVI ai teologi: se non si ha l'umiltà di sentirsi piccoli non è possibile
alcuna comprensione di Dio
Il vero teologo è colui che non cede alla tentazione di misurare con la propria intelligenza
il mistero di Dio, spesso svuotando di senso la figura di Cristo, ma è colui che è
cosciente della propria limitatezza, come lo furono molti grandi Santi riconosciuti
anche come grandi maestri. E’ questo il pensiero di sintesi che Benedetto XVI ha rivolto
all’omelia della Messa celebrata stamattina con i membri della Commissione Teologica
Internazionale, impegnati da ieri nella plenaria annuale. Il servizio di Alessandro
De Carolis:
Il prototipo
del teologo saccente che studia la Sacra Scrittura come certi scienziati studiano
la natura - cioè con una freddezza accademica che pretende di vivisezionare il mistero
e ignora la scintilla del trascendente - Benedetto XVI lo ravvisa negli antichi scribi
che indicano ai Magi la strada per Betlemme, per il Dio Bambino. Costoro, osserva,
sono “grandi specialisti: possono dire dove nasce il Messia” ma “non si sentono
invitati ad andare”. La notizia “non tocca la loro vita, rimangono fuori. Possono
dare informazioni, ma l’informazione non diventa formazione della propria vita”: “E
così anche nel nostro tempo, negli ultimi duecento anni, osserviamo la stessa cosa.
Ci sono grandi dotti, grandi specialisti, grandi teologi, maestri della fede che ci
hanno insegnato tante cose. Sono penetrati nei dettagli della Sacra Scrittura, della
storia della salvezza. Ma non hanno potuto vedere il mistero stesso, il vero nucleo:
che questo Gesù era realmente Figlio di Dio (…) Si potrebbe facilmente fare grandi
nomi della storia della teologia di questi duecento anni dai quali abbiamo imparato
tanto, ma non è stato aperto agli occhi del loro cuore il mistero”. Il
Papa è severo con questo modo di procedere che, afferma, “si mette sopra Dio”.
Lo è con gli scienziati che adottano, dice, un metodo nel quale “Dio non entra” e
quindi “non c’è”. Ma lo è ancor più con certa teologia che mortifica il divino e della
quale spiega i difetti con un’immagine efficace: “Si pesca
nelle acque della Sacra Scrittura con una rete che permette solo una certa misura
per questi pesci e quanto va oltre questa misura non entra nella rete e quindi non
può esistere. E così il grande mistero di Gesù, del Figlio fattosi uomo, si riduce
a un Gesù storico, realmente una figura tragica, un fantasma senza carne e ossa, uno
che è rimasto nel sepolcro, è corrotto, è realmente un morto”. La storia
della Chiesa, tuttavia, è ricca di uomini e donne capaci di riconoscere la loro piccolezza
al cospetto della grandezza di Dio, capaci di umiltà e dunque di arrivare alla verità.
E di questa lunga schiera Benedetto XVI cita qualche nome: “Da Bernardette
Soubirous a Santa Teresa di Lisieux con una nuova lettura della Sacra Scrittura, non
scientifica, ma entrando nel cuore della Sacra Scrittura, fino ai santi e beati del
nostro tempo: suor Bakhita, madre Teresa, Damian de Veuster. Potremmo elencarne tanti”. Ecco,
ha proseguito il Papa, una categoria di “piccoli che sono anche dotti”, modelli cui
ispirarsi perché, ha auspicato, ci aiutino “a essere veri teologi che possono
annunciare il suo mistero perché toccati nella profondità del loro cuore”.
Come lo fu la Madonna, o San Giovanni, o il centurione sotto Croce. O ancora San Paolo,
che nella sua vicenda racchiude in modo emblematico la parabola del passaggio dalla
falsa alla vera sapienza: “E così anche dopo la sua risurrezione
il Signore, sulla strada verso Damasco, tocca il cuore di Saulo, che è uno dei dotti
che non vedono. Lui stesso, nella prima lettera a Timoteo, si chiama ignorante in
quel tempo, nonostante la sua scienza. Ma il risorto lo tocca. Diventa cieco e diventa
realmente vedente. Comincia a vedere. E il dotto grande diviene un piccolo e proprio
così vede la stoltezza di Dio che è saggezza, sapienza più grande di tutte le saggezze
umane”. I lavori della Commissione Teologica Internazionale, presieduta
dal cardinale William Levada, proseguiranno in Vaticano fino venerdì prossimo. In
questa prima sessione del nuovo quinquennio, la Commissione deciderà i temi da trattare
nei prossimi cinque anni e l’organizzazione concreta dei lavori. Tra i temi che il
cardinale presidente ha chiesto alla Commissione di prendere in considerazione figura
la questione della metodologia teologica, già affrontata durante il precedente quinquennio.