Il priore della comunità di Bose, Enzo Bianchi, sull'Avvento: pregare significa dare
del "tu" a Dio
Come ha ricordato anche il Santo Padre all'Angelus, il tempo di Avvento è un periodo
di attesa e preparazione al Natale, alla venuta del Signore. In questo periodo la
Chiesa ripete l’antica invocazione dei cristiani: “Maranathà! Vieni Signore!”. Il
tempo di Avvento è un’ulteriore occasione per la riflessione, l’ascolto e la preghiera.
In un tempo in cui si avverte una crescente “sete” di spiritualità, il tema della
preghiera assume un'importanza decisiva. Ma come educare a pregare? Ascoltiamo al
microfono di Fabio Colagrande il priore della Comunità monastica di Bose, Enzo
Bianchi, autore del libro “Perché pregare, come pregare” edito da San Paolo Edizioni:
R. – I discepoli
chiedono a Gesù: insegnaci a pregare, educaci alla preghiera, come ha fatto Giovanni
con i suoi discepoli. Oggi, soprattutto, si fa urgente perché facilmente si pratica
nelle chiese la preghiera comunitaria, la liturgia, e invece non c’è una adeguata
educazione, un’attenzione alla preghiera personale. La preghiera comunitaria sostiene
quella personale, quella personale sostiene quella comunitaria: se non c’è questa
personalizzazione del rapporto con Dio, questa esperienza del sentire la presenza
di Dio, questo esercizio a parlare a Dio e ad ascoltare la Sua voce, non c’è una preghiera
veramente cristiana.
D. – Quali sono gli ostacoli
che si frappongono oggi alla pratica della preghiera? Ostacoli che bisogna individuare
proprio per poterli superare…
R. – Il primo grande
ostacolo oggi è quello della mancanza di tempo. Noi viviamo in una società molto velocizzata
e gli uomini fanno fatica a fermarsi, ad abitare con se stessi, a stare in silenzio
e ad esercitarsi all’ascolto della Parola di Dio che ci abita in profondità; ci vuole
attenzione e vigilanza, non fretta. E’ indispensabile una certa quiete. Io credo che
questo sia l’ostacolo più grande che c’è oggi alla preghiera.
D.
– Cercando di dare proprio una definizione della preghiera lei che parole troverebbe?
R.
– Si potrebbe dire che la preghiera cristiana è un dare del tu a Dio, è un riuscire
ad ascoltare la Sua voce, è un poter passare dalla comunicazione alla comunione, da
quello che è certamente un mettersi davanti a Dio per sentire poi Dio dentro di noi.
D.
– Lei arriva ad una definizione di preghiera intesa come atto di amore; possiamo
dire che il narcisismo è forse uno degli ostacoli più forti alla vera preghiera?
R.
– Sì, oggi oltre alla fretta, alla mancanza di tempo, c’è questo narcisismo imperante
che qualche volta diventa un’idolatria in cui non c’è più la dimensione dell’alterità,
dell’apertura all’altro, a Dio, ma c’è una concentrazione di attenzione, di ascolto,
su se stessi. Questo è davvero l’inizio di un’idolatria che impedisce poi non solo
la preghiera ma impedisce la verità dei rapporti anche con gli altri, la differenza
nella comunicazione, l’accettazione dell’altro come colui che è il più grande dono
ed è il segno della presenza di Dio davanti a me.(Montaggio a cura di Maria
Brigini)