Honduras al voto con la speranza di porre fine alla crisi innescata dal golpe
In Honduras oltre 4,6 milioni di elettori sono chiamati oggi all’appuntamento con
le urne per le elezioni presidenziali. Tra i candidati non figurano né il deposto
capo di Stato, Manuel Zelaya, né il presidente ad interim Roberto Micheletti, insediatosi
dopo il golpe dello scorso 28 giugno. Sono cinque i contendenti in lizza: il favorito
è Porfirio Lobo, del Partito Nazionale. Lo sfidante più accreditato è Elvin Santos
del Partito Liberale. Ma la consultazione può realmente porre fine alla crisi politica
in cui è precipitato il Paese dopo il colpo di Stato? Amedeo Lomonaco lo ha
chiesto a Luis Badilla, esperto di questioni latinoamericane:
R.
– Per la comunità internazionale e lo stesso popolo dell’Honduras, le elezioni dovrebbero
risolvere questa drammatica e lacerante crisi politica e istituzionale che si trascina
dal 28 giugno, quando fu destituito il presidente Manuel Zelaya. Tutto adesso dipende
innanzitutto dalla trasparenza di queste elezioni e dal fatto che i cinque candidati
riconoscano il risultato e non vengano contestati. La comunità internazionale ha fatto
moltissimo per fare in modo che queste elezioni siano trasparenti e corrette. Si è
impegnata anche finanziariamente, appoggiando tutti i progetti e tutti i meccanismi
che aiutano questa trasparenza.
D. – Quale è la posizione
della Chiesa su questa consultazione?
R. – La Chiesa
ha continuato a ribadire il suo magistero fin dal primo giorno della crisi. Il vescovo
ausiliare di Tegucigalpa durante la Messa alla quale hanno assistito tutti i candidati
che partecipano a questa elezione, ha detto: la consultazione deve essere la fine
della crisi ma, soprattutto, l’inizio della riconciliazione.
D.
– Il Congresso honduregno dovrà pronunciarsi nei prossimi giorni sull’eventuale ritorno
al potere di Zelaya, che ha chiesto di boicottare il voto. C’è in questa intricata
situazione il rischio di una guerra civile?
R. – Io
penso che ormai questo rischio si sia molto allontanato e che sia poco probabile.
Ma è sempre possibile: in America Latina, purtroppo, questi fatti sono sempre possibili.
Il popolo honduregno e la comunità internazionale si aspettano che non si creino più
ulteriori complicanze in questo meccanismo, che è già di per sé molto farraginoso.
C’è una certa trepidazione per quanto riguarda quello che sarà il comportamento del
presidente Zelaya. Ci si chiede, poi, come si possa fare in modo che Zelaya torni
a fare il presidente per alcune settimane, pur sapendo che fra due o tre mesi dovrà
consegnare il potere al nuovo presidente eletto.
D.
– A quali mosse sono allora affidate le speranze democratiche dell’Honduras?
R.
– Tutto è molto fragile. Le intese esistono, ma sono fragili. Quindi, a questo punto,
l’unica cosa che c’è da aspettarsi è che la pressione morale della comunità internazionale
faccia in modo che gli attori di questo processo possano mantenere l’equilibrio, la
cautela e la prudenza per arrivare alla soluzione vera e definitiva: l’elezione di
un nuovo governante democraticamente eletto.