Il Papa commemora i 25 anni della pace tra Argentina e Cile mediata da Papa Wojtyla:
un esempio di come evitare la barbarie della guerra
Il Palazzo apostolico in Vaticano è stato teatro questa mattina di una importante
cerimonia commemorativa. Ricevendo in udienza le presidenti di Argentina e Cile, Cristina
Fernández de Kirchner e Michelle Bachelet, Benedetto XVI ha ricordato i 25 anni trascorsi
dalla storica mediazione di Giovanni Paolo II che, nel 1978, riuscì a sventare tra
i due Stati latinoamericani un conflitto armato per un contenzioso nella zona australe,
uno spazio marittimo strategico per il passaggio tra l’Oceano Atlantico e il Pacifico.
La cronaca di Alessandro De Carolis: Un braccio di mare conteso, cento
anni di contrasti, iniziati alla fine dell’Ottocento, tra due Paesi per stabilire
a chi ne appartenesse la sovranità e poi la parola alle armi, considerate l’ultima
opzione decisiva. Ma non andrà così tra Argentina e Cile nel 1978. I libri di storia
oggi ricordano che il vero protagonista di una guerra che si trasformò in pace fu
il giovane e neoletto Pontefice, Giovanni Paolo II, il più tempestivo di tutti a sostituire
l’arma della ragione all’irragionevolezza delle armi. Al cospetto delle due folte
delegazioni di entrambi gli Stati latinomericani, ricevute in Sala Clementina poco
prima delle 12, Benedetto XVI ha anzitutto ricordato il ruolo e i meriti giocati nella
vicenda dal suo predecessore, che portarono nel 1984 alla firma di un documento ufficiale
che prevedeva il riconoscimento della sovranità cilena sul braccio di mare conteso: “El
Tratado de Paz y de Amistad, y la mediación… Il Trattato di Pace
e Amicizia, e la mediazione che lo ha reso possibile, è indissolubilmente legato all'amata
figura del Giovanni Paolo II che, mosso da sentimenti di affetto per quelle care nazioni
e in linea con il suo lavoro instancabile come messaggero e artefice di pace, non
ha esitato ad accettare il compito delicato e cruciale di essere un mediatore in questa
disputa”. Un compito, ha proseguito il Papa, che Giovanni Paolo II
svolse con successo grazie alla collaborazione di varie personalità ecclesiali, prima
fra tutte quella del cardinale Samoré, che “seguì - ha detto - tutte le vicissitudini
dei negoziati lunghi e complessi”, e dell’allora cardinale segretario di Stato, Agostino
Casaroli, oltre che degli esponenti dei due governi. Venticinque anni dopo, ha osservato
Benedetto XVI, “possiamo constatare con soddisfazione” come questo evento storico
abbia “contribuito positivamente a rafforzare” in due “Paesi fratelli” sentimenti
“di fraternità e di una più forte cooperazione e integrazione”. Ma soprattutto, ha
soggiunto, il Trattato di pace: “…es un ejemplo luminoso
de la fuerza… è un esempio luminoso della forza dello spirito umano
e del desiderio di pace contro la barbarie e l'irrazionalità della violenza e della
guerra come mezzo per risolvere i contrasti (…)E' pertanto
necessario perseverare in ogni momento con ferma volontà e fino alle ultime conseguenze
nel tentativo di risolvere le controversie con un reale desiderio di dialogo e di
accordo, attraverso pazienti negoziati e i necessari impegni, tenendo conto delle
giuste rivendicazioni e dei legittimi interessi di tutti”. Ciò
è possibile, ha affermato il Papa, se chi è chiamato a servire i cittadini sia sostenuto
“da forti convinzioni morali”, da serenità d’animo e dalla “costante ricerca del bene
comune nazionale, regionale e mondiale”: “Il conseguimento
della pace, in effetti, prevede la promozione di un’autentica cultura della vita,
che rispetti la dignità umana nella sua pienezza, unita al rafforzamento della famiglia
come cellula fondamentale della società. Richiede anche la lotta alla
povertà e la corruzione, l'accesso a un'istruzione di qualità per tutti, un supporto
alla crescita economica, il consolidamento della democrazia e l'eliminazione della
violenza e di sfruttamento, in particolare contro donne e bambini”.