La Chiesa filippina invoca giustizia per il massacro di Maguindanao
C’è sgomento e costernazione nella Chiesa cattolica filippina per la strage di Maguindanao
del 23 novembre scorso, in cui sono morte 57 persone fra parenti e sostenitori di
Ishmael “Toto” Mangudadatu, vice-sindaco di Buluan e candidato alla carica di governatore
della provincia. I vescovi del Paese, citati da AsiaNews, parlano di strage “senza
precedenti” e invitano il governo a “sanare la profonda ferita” inferta al Paese e
alle “istituzioni democratiche”. Mons. Orlando Quevedo, arcivescovo di Cotabato e
presidente della Conferenza dei vescovi asiatici, chiede “azioni decise perché sia
fatta giustizia”. Egli aggiunge però che non è il momento di farsi guidare “dalla
logica della vendetta” che può far precipitare la zona “in una spirale di violenza”.
Il cardinale Gaudencio Rosales, arcivescovo di Manila, precisa che “è compito del
governo esercitare la sua leadership” per sanare la “profonda ferita” che ha segnato
il “cuore e le istituzioni democratiche del Paese”. “Bisogna curare le ferite – commenta
– per prevenire conseguenze più tragiche”. Padre Cesare Neri, della diocesi di Caloocan,
sottolinea che il massacro rivela un volto “disumano” e tutte le persone di buona
volontà, senza distinzione di fede religiosa, devono lavorare “per ristabilire la
pace”. Suor Mary John Mananzan aggiunge che il governo della presidente Gloria Arroyo
ha tollerato troppo a lungo la “cultura della violenza” (il sospettato numero uno
della strage è un alleato politico della presidente) concedendo troppe libertà “ai
signori della guerra e negando a più riprese la libertà di stampa”. Fra 12 giornalisti
vittime del massacro risulta anche una cronista cattolica, volontaria di una radio
diocesana. Si tratta di Neneng Montano, giovane reporter dell’emittente DXCP, diretta
espressione della diocesi di Marbel. Intanto, sul fronte della indagini, sono iniziati
gli interrogatori di alcune persone indicate fra gli esecutori materiali della strage.
Una parte avrebbe confermato di eseguire gli ordini di Andal Amaptuan Jr, sospettato
numero uno della strage, agli arresti a Manila. L’uomo, rivale politico di Mangudadatu
e figlio dell’attuale governatore, nega ogni addebito nella vicenda. Fra le persone
sotto inchiesta vi è anche il capo della polizia di Maguindanao, che avrebbe “coperto”
il raid del commando. E sul terreno non accenna a fermarsi la violenza: ieri, sempre
a Mindanao, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco un impiegato locale dell’Unicef,
il fondo Onu per l’infanzia. L’assassinio è avvenuto in una zona poco distante dal
punto in cui è avvenuto il massacro del 23 novembre. Dalle prime indagini pare si
tratti di un omicidio di “natura privata”. (M.G.)