Khmer Rossi: processo contro Douch, capo della prigione della morte S-21
La Cambogia fa i conti con il suo sanguinoso passato legato al regime dei Khmer Rossi,
il movimento comunista di Pol Pot - al potere dal 1975 al 1979 - che causò, tra esecuzioni,
stragi e carestie, oltre tre milioni di morti. A Phnom Penh, di fronte al Tribunale
speciale dell’Onu per il genocidio dei cambogiani, è in corso il processo contro Douch,
il capo della famigerata prigione S-21, nella quale vennero torturati e uccisi oltre
16 mila uomini, donne e bambini. Douch, accusato di crimini di guerra e crimini contro
l’umanità, stamani si è dichiarato pentito ed ha chiesto l’assoluzione, in quanto
mero esecutore di ordini superiori. Ma che cosa rimane nella Cambogia di oggi di quel
tragico periodo? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Carlo Filippini,
docente all’Università Bocconi di Milano, esperto di Asia orientale:
R. - Rimane
certamente un ricordo molto forte ancora e, probabilmente, una notevole insoddisfazione
e una notevole delusione perché giustizia non è stata fatta, sostanzialmente. La cultura,
la loro morale, tende più ad una pacificazione che ad una giustizia vendicativa. Rimane
però il grande punto interrogativo del comportamento della comunità internazionale
- delle Nazioni Unite in primo luogo - che è stato molto ambiguo. Anche perché come
sappiamo vigeva la regola: “I nemici dei miei nemici sono miei amici”. Quindi, alcuni
Paesi sono stati alquanto complici dei Khmer rossi proprio perché erano avversari
dei loro nemici.
D. - Si può parlare di pacificazione,
oggi, in questo Paese?
R. - In un senso abbastanza
largo, certamente sì: non vi sono più chiaramente le tensioni di un tempo, non ci
sono più gli scontri politici ed armati. Certamente, la pacificazione è dovuta anche
al fatto che l’attuale primo ministro è stato in qualche modo legato, e potremmo dire
anche complice, delle stragi e dell’oppressione dei khmer rossi. In questo senso,
si è cercato di evitare scontri proprio perché uno degli imputati da chiamare alla
sbarra sarebbe stato proprio il primo ministro.
D.
- Dopo quell’esperienza, il processo di democratizzazione di questo Paese - relegato
un po' ai margini della comunità internazionale - è un processo reale?
R.
- E’ un processo reale, ma certamente ancora molto, molto lento. C’è una certa tendenza
fra i Paesi Asean del sudest asiatico, e anche dell’est asiatico, a ripensare alla
propria cultura, al proprio modo di governare che, chiaramente, ancora è molto paternalistico.
Ci sono state parecchie delusioni, soprattutto per la crisi economica in atto, rispetto
alla democrazia occidentale e ai modelli di mercato occidentali.
D.
- La Cambogia è un Paese dove le libertà vengono garantite oppure ci sono difficoltà?
R.
- No, ci sono ancora molte difficoltà. I diritti dei lavoratori, i movimenti sindacali
e anche la stampa troppo critica del regime non sono per usare un eufemismo - "apprezzati",
e vi sono certamente dei tentativi di reprimere queste manifestazioni della società
civile o della democrazia, come la intendiamo in senso occidentale.