Dibattito sulla crisi dell'Occidente: la riflessione del prof. Cardini
Si è svolto ieri sera a Roma un dibattito promosso dall’Ufficio diocesano per la pastorale
universitaria sul tema “Crisi dell’Occidente? Luci ed ombre di un’idea”. All'incontro
hanno partecipato il prof. Franco Cardini, ordinario di Storia medievale all'Università
di Firenze, e il prof. Philippe Nemo, del Centro Ricerche in Filosofia Economica di
Parigi. Sul tema della serata ascoltiamo il prof. Franco Cardini al microfono
di Marina Tomarro.
R. – L’Occidente
è sinonimo di modernità, anzi: l’Occidente è la modernità. In questo momento siamo
alla vigilia di un’altra dimensione, una dimensione nuova. L’Occidente era la modernità
come desacralizzazione, ma si è visto che le religioni avevano una loro vitalità,
che adesso stanno rinascendo e quindi siamo al di là dell’Occidente-modernità. Bisogna
trovare nuovi equilibri. Questi nuovi equilibri li hanno chiamati post-moderni, li
hanno chiamati in infiniti modi, e sono quelli che noi stiamo ricercando. D.
– Secondo lei, che cosa è riuscito ad esportare l’Occidente come valori? E invece,
in cosa ha fallito? R. – L’Occidente ha esportato fondamentalmente
valori scientifici, valori tecnologici e modelli politici, e se li è fatti pagare
estremamente cari in termini economici, in termini di dominazione colonialista … Naturalmente,
ha esportato anche un lievito importantissimo, che è il lievito della libertà, il
lievito dei diritti umani. Ma questa libertà, questi diritti umani fatalmente hanno
finito anche con l’aggredire l’Occidente, perché l’Occidente, che li ha elaborati,
attraverso il colonialismo ha anche conculcato questi diritti. E d’altra parte, l’Occidente
non è riuscito – evidentemente – a creare una visione del mondo autonoma e solida
perché praticamente, una volta liberatosi dal cristianesimo – perché l’Occidente è
anche questo: è modernità in quanto processo di secolarizzazione – non è riuscito
a creare una società totalmente laica, e infatti il post-moderno significa fondamentalmente
contestazione di una desacralizzazione, di un processo di secolarizzazione che ha
fallito, che non è riuscito. E noi, che adesso siamo circondati dai fondamentalismi
di ogni segno, poi ci rendiamo conto che anche questo progetto dell’Occidente è in
fondo fallito. Quindi, l’Occidente ha diffuso i suoi buoni semi in termini di libertà,
ma nello stesso tempo la sua schizofrenia ha fatto sì che questi buoni semi fossero
diffusi anche a colpi di repressione e di sfruttamento, da cui adesso molti popoli
cercano di liberarsi e quindi se l’Occidente, in fondo, morisse, io credo che la civiltà
non perirebbe. Passeremmo a nuovi equilibri … D. – In che modo,
secondo lei, il cristianesimo può aiutare a superare questo momento di transizione? R.
– Guardi, il momento di transizione è stato determinato da molte questioni, da molte
circostanze e da molte contingenze; ma ce n’è una, fondamentalmente: la ingiustizia
che regna sovrana sul mondo. Un mondo dove il 90 per cento della popolazione, quindi
circa 5 miliardi, vive al di sotto della linea di sopravvivenza mentre la ricchezza
è concentrata in pochissime mani e soltanto un miliardo di persone gode – e in maniera
molto ineguale – dei frutti di questa ricchezza. Il cristianesimo – non solo il cristianesimo:
anche altre religioni – hanno questa carica di umanitarismo, questa carica di carità,
questa carica di altruismo che oggi è necessaria perché la fine dell’Occidente è anche
la fine di un sistema che travestiva l’ingiustizia da libertà, dimenticandosi che
la libertà dei pochi corrisponde alla non-libertà dei più, e che non esiste soltanto
la “libertà di …” – la libertà di pensiero, la libertà di parola, la libertà di associazione
… - ma che esiste anche la “libertà da …”: la libertà dalla fame, la libertà dalla
paura, la libertà dalla malattia … E tutte queste libertà, il sistema egemonizzato
dall’Occidente fino ad oggi le ha – sia pure non totalmente – negate o rifiutate o
sottovalutate all’80 per cento del mondo. (Montaggio a cura di Maria Brigini)