Sabato dal Papa, i presidenti di Cile e Argentina per celebrare la mediazione della
Santa Sede che sventò la guerra tra i due Paesi. Con noi, mons. Sainz Muñoz
Benedetto XVI riceverà in udienza, sabato prossimo, i presidenti del Cile, Michelle
Bachelet Jeria e dell’Argentina, Cristina Fernández de Kirchner. L’evento celebra
il 25.mo anniversario della firma del “Trattato di pace e amicizia” fra i due Paesi,
felice esito della mediazione pontificia, che nel 1978 sventò un conflitto tra Cile
e Argentina. Artefice di quella mediazione fu il cardinale Antonio Samorè, che ebbe
tra i suoi più stretti collaboratori l’attuale nunzio apostolico in Gran Bretagna,
mons. Faustino Sainz Muñoz. Intervistato da Alessandro Gisotti, mons.
Sainz Muñoz ricorda quale fu l’elemento chiave che contribuì a sventare il conflitto
tra Cile e Argentina:
R. - Credo
che l’Argentina e il Cile volevano evitare il baratro della guerra, perché in definitiva
non volevano la guerra, ma si erano visti “condotti” sull’orlo di questo precipizio!
Quindi, ebbero la buona idea di chiedere al Santo Padre, a Giovanni Paolo II, la possibilità
che gli desse una mano, di aiutarli a trovare una via d’uscita migliore. Il Santo
Padre decise di inviare il cardinale Samorè nel Natale dell’anno ’78, perché vedesse
lui, come mediatore, le possibilità esistenti di una via pacifica per la soluzione
della controversia. Poi i due Paesi si sono mantenuti per sei anni in questo atteggiamento
di ascolto fiducioso delle proposte del Santo Padre, attraverso il cardinale Samorè,
con pazienza, fino ad arrivare alla soluzione felice con la firma del Trattato di
pace e di amicizia, fatta il 29 novembre 1984. Credo che, da una parte, l’elemento
fondamentale fu l’impegno della Santa Sede, di Giovanni Paolo II, attraverso il cardinale
Samorè, e poi la pazienza della Santa Sede, dello stesso cardinale Samorè, e dei due
Paesi nel seguire le indicazioni che venivano date loro.
D.
– Dal rischio di una guerra alla cooperazione e l’integrazione: giusto 25 anni fa,
Cile e Argentina firmavano un accordo di pace e di amicizia. Si confermava, dunque,
quanto aveva detto Giovanni Paolo II all’inizio di questa mediazione, cioè che la
pace avrebbe dato molti frutti per tutti, per i cileni e gli argentini…
R.
– Questo è evidente! L’ho potuto constatare la settimana scorsa. Sono stato a Santiago
del Cile per partecipare ad una commemorazione del 25.mo della firma del Trattato,
organizzata dalla Pontificia Università Cattolica del Cile e dalla Nunziatura apostolica
a Santiago. Io ero intervenuto in quella prima missione del cardinale Samorè e l’avevo
anche aiutato durante l’iter intero della mediazione e in questa mia visita ho potuto
verificare come si sia avverata quella predizione del Santo Padre. Il Trattato includeva
molte clausole di collaborazione, di integrazione di ogni genere. Debbo dire che queste
clausole sono state adempiute in maniera incredibile. In tutti e due i Paesi ho visto
che sono contentissimi e posso dire che la relazione tra i due Paesi ha subito un
cambio definitivo: non ha niente a che vedere con il clima che si respirava nel dicembre
del ’78, che era un clima di guerra, di sfiducia. Adesso non c’è più la sfiducia,
c’è l’integrazione praticamente totale. A riprova di questo c’è il fatto che, recentemente,
i due Paesi hanno firmato un nuovo Trattato che è frutto anche di quel trattato firmato
25 anni fa.
D. – La mediazione sulla zona australe
del Sudamerica dimostrò che, in ogni controversia, il dialogo non pregiudica i diritti
delle parti, ma anzi amplia le possibilità di comporre, di risolvere le divergenze.
Quale lezione possiamo trarre oggi da quell’evento di ormai oltre 30 anni fa? R. – La lezione più importante è che con il dialogo si può risolvere qualsiasi
problema tra le parti, perché i rispettivi diritti con il dialogo possono venire meglio
identificati. A volte si considerano diritti alcune aspirazioni che non rispondono
a questa categoria di diritto, ma con il dialogo si può arrivare ad una migliore comprensione
dei diritti delle due parti ed arrivare evidentemente ad una soluzione giusta, pacifica,
onorevole e soddisfacente per tutti. Questo è stato il caso della soluzione trovata
per il contenzioso sulla zona australe. E questo credo sia possibile anche per altre
questioni che, attualmente, possono dividere Paesi fratelli. Per esempio, in Sudamerica
non mancano adesso problemi che potrebbero essere risolti meglio attraverso il dialogo,
che non attraverso le minacce, come si sente di tanto in tanto.