Mons. Tomasi: tutelare i diritti dei migranti anche se irregolari
Non criminalizzare gli immigrati irregolari semplicemente per il loro status: è l’appello
di mons. Silvano Maria Tomasi, intervenuto ieri alla 98.ma sessione del Consiglio
dell’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni. L’Osservatore permanente della
Santa Sede presso l’Ufficio Onu di Ginevra ha invitato gli Stati a sviluppare una
strategia complessiva che tuteli i diritti dei migranti. Il presule ha quindi rilevato
i segnali positivi che, su questo fronte, arrivano dagli Stati Uniti ed ha auspicato
che vengano sradicati i pregiudizi nei confronti degli immigrati. Al microfono di
Alessandro Gisotti, l’arcivescovo Silvano Maria Tomasi sottolinea le
principali preoccupazioni della Santa Sede sul fenomeno dell’immigrazione irregolare:
R. – Anzitutto,
direi che quello che impressiona è che c’è una fetta di umanità che si trova in una
situazione di irregolarità amministrativa: tra i 30 e i 40 milioni di persone, quindi
tra il 15 e il 20 per cento dei 214 milioni di emigrati riconosciuti dalle Nazioni
Unite nel mondo di oggi. Davanti a questa massa enorme di persone, la preoccupazione
che la Chiesa ha è che non avendo una posizione riconosciuta legalmente, queste persone
vengono esposte ad abusi, sfruttamento per cui davanti a questa enorme realtà soprattutto
quei Paesi che vogliono fare avanzare la democrazia non possono ignorare questo fenomeno.
D.
– L’immigrazione irregolare si lega spesso a forme di sfruttamento del lavoro, di
povertà, in definitiva di violazione dei diritti umani. Come spezzare questo circolo
vizioso?
R. – Prima di tutto, direi che l’attrattiva
dei posti di lavoro fa scattare questi flussi irregolari verso Paesi non solo occidentali,
ma ormai questo è un fenomeno globale, quindi direi che è ragionevole – nell’interesse
un po’ di tutti – creare dei canali regolari di movimento in modo che le piccole e
medie imprese, che di solito assumono queste persone perché ne hanno dei benefici
economici, possano regolarizzare questa presenza, magari anche da parte dello Stato,
con delle concessioni di certi benefici che facilitino la regolarizzazione. Il rischio
di sfruttamento, il rischio di abuso verrebbe molto eliminato se ci fosse un coordinamento
più efficace da parte degli Stati interessati: quelli di origine, quelli di transito
e quelli di destinazione. E, soprattutto, che si aprano dei canali regolari e poi
si tenga conto che non è illegale la persona che viene a lavorare, perché lavorano
in posti di lavoro che sono perfettamente legali; ma è il sistema, i canali di passaggio
che rendono questo problema difficile da trattare e pone le persone in situazione
di irregolarità.