Israele: congelamento temporaneo degli insediamenti in Cisgiordania
Israele ha annunciato di aver deciso il congelamento dei progetti edilizi ebraici
in Cisgiordania, per la durata di 10 mesi. Il provvedimento, che non riguarda Gerusalemme
est, è stato adottato - secondo lo Stato ebraico - per rilanciare i negoziati di pace
con i palestinesi. Ma l'Autorità nazionale palestinese (Anp) ha già commentato negativamente,
ritenendo insufficiente l'iniziativa. Sul significato della decisione di Israele di
congelare temporaneamente gli insediamenti, il commento di Maria Grazia Enardu,
docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università di Firenze, intervistata
da Giada Aquilino:
R. – Il significato
è quello di evitare lo scontro diretto con il presidente americano, di fare un gesto
politico ma non pratico, perché per esempio non si ferma nulla a Gerusalemme. Quindi
il risultato è compiacere gli americani, non compiacere i palestinesi e anche creare
una frattura interna al Likud, perché già alcuni componenti di tale partito si sono
opposti.
D. – In pratica, nella costruzione degli
insediamenti che ripercussioni ci saranno?
R. – Molto
poche, perché il governo aveva già approvato la costruzione di 3 mila unità abitative
e questa continuerà. Nulla si ferma a Gerusalemme e soprattutto possono continuare
gli insediamenti abusivi che a volte si spostano facilmente da un luogo all’altro.
D. – I palestinesi hanno risposto che l’annuncio
non soddisfa i requisiti minimi da loro ritenuti necessari …
R.
– I palestinesi hanno, in questo momento, due sfaccettature: il presidente del Consiglio
dei ministri, Fayyad, ha detto che è un gesto strumentale, che non riporta al negoziato
di pace. Però non bisogna dimenticare che i palestinesi tutti – Hamas e Fatah – hanno
in questo momento il problema delle elezioni e quindi ognuno di loro prende posizione
su tale questione pensando alle future consultazioni.
D.
– E la linea americana al riguardo?
R. – La reazione
americana è stata abbastanza critica, perché il segretario di Stato, Clinton, ha commentato
che la decisione di Israele è un passo avanti, però bisogna pur sempre arrivare ad
uno Stato palestinese sulla linea dei confini del 1967, sia pure con aggiustamenti.
D.
– Cosa c’è da aspettarsi per i prossimi mesi, riguardo al tavolo negoziale?
R.
– La definizione, sul lato palestinese, di un partner che non sia solo credibile,
ma che sia efficace. Bisogna aspettarsi di vedere che cosa esce dalle elezioni. Nei
rapporti tra Israele e Stati Uniti, che sono molto complicati, c’è da aspettarsi una
precisa definizione di quello che gli americani vogliono da Israele e di ciò che gli
israeliani sono disposti a dare al presidente Obama.