Clima: Cina e Usa annunciano nuovi tagli alle emissioni in vista del vertice di Copenaghen
A meno di due settimane dall’apertura della conferenza Onu sul clima di Copenhagen,
si allarga il fronte dell’impegno per il taglio di emissioni di gas serra. Nelle ultime
24 ore i due maggiori produttori di diossido di carbonio, Cina e Stati Uniti, hanno
annunciato l’assunzione di nuovi obiettivi nel taglio delle emissioni e confermato
la presenza al vertice dei rispettivi presidenti. Poche ore prima, il responsabile
delle Nazioni Unite per l’ambiente, Yves De Boer, ha espresso l’auspicio cha dall’imminente
appuntamento internazionale escano impegni vincolanti. Il servizio di Marco Guerra:
Entro il
2020, gli Stati Uniti ridurranno del 17% l’emissione dei gas ad effetto serra. Sarà
questa la proposta che il presidente Obama porterà a dicembre al tavolo della conferenza
sul clima di Copenhagen. L’obiettivo indicato ieri è in linea con la legge americana
“sull'energia e sul clima”, approvata dalla Camera dei Rappresentanti l'estate scorsa,
che prevede una serie di traguardi intermedi prima di una riduzione finale del 85%
delle emissioni entro il 2050. Obama, ha detto il portavoce della Casa Bianca Gibbs,
è stato incoraggiato dai “progressi realizzati nelle recenti discussioni con i leader
di Cina ed India”, il cui premier Manmohan Singh era ieri in visita a Washington.
E all’indomani dell’annuncio statunitense è proprio l’altro principale attore della
partita, la Cina, a rilanciare con l’impegno a ridurre le emissioni di carbone del
40-45% entro il 2020. Il passo è importate: si tratta della prima volta che la Cina
quantifica un obiettivo in termini di taglio delle emissioni. Da Pechino arriva inoltre
la conferma della partecipazione del primo ministro, Wen Jiabao, al vertice nella
capitale danese. Tutto ciò sembra rispondere alle esortazioni lanciate ieri dal responsabile
delle Nazioni Unite per l’ambiente, Yves De Boer, che ha auspicato nuovamente il successo
della conferenza di Copenaghen attraverso l'assunzione di una serie di obiettivi vincolanti,
da tradursi in un trattato nel 2010.
Filippine Si
è consegnato alle autorità filippine il principale indagato della strage, di matrice
politica, che lunedì ha causato 57 morti nell’isola di Mindanao. Si tratta di Andal
Ampatuan Junior, sindaco di Datu Unsay e figlio del governatore locale membro della
coalizione del presidente Gloria Arroyo. Le forze si sicurezza hanno inoltre ripreso
il controllo delle roccaforti della famiglia Ampatuan e disarmato circa 200 miliziani.
Il massacro di lunedì ha colpito 27 giornalisti e diversi esponenti politici che presenziavano
alla candidatura a governatore del rivale di Ampatuan.
Iran-nucleare Stamani
ha preso il via a Vienna la riunione dell'Aiea, l’Agenzia internazionale per l’energia
atomica. Al centro della due giorni di lavori, ancora il programma nucleare iraniano
ed il congedo del direttore generale dell’organismo dell’Onu, Mohammed El Baradei.
I Paesi mediatori sospettano che dietro il programma di Teheran si celi il tentativo
di dotarsi di armi non convenzionali. Intanto, proprio sul programma nucleare iraniano
a scopi civili, il presidente Mahmoud Ahmadinejad ha ricevuto da diversi Paesi dell’America
Latina, visitati in questi giorni, chiari consensi. Questa spaccatura che c’è nella
comunità internazionale rischia di rendere ancora più difficile un accordo sulla questione?
Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Giorgio Alba di Archivio Disarmo:
R. – L’accordo
viene ricercato principalmente tra le grandi potenze. Cina e Russia si stanno riavvicinando
alla posizione occidentale e statunitense, quindi il ruolo che svolge questa visita
di Ahmadinejad è quello di ritagliarsi tra i Paesi in via di sviluppo una controparte
politica, che non ha un peso essenziale per l’Iran. Nel momento in cui la Cina e la
Russia decidessero di applicare le sanzioni, come richiesto dagli Stati Uniti, l’Iran
non troverebbe nel Venezuela, nel Brasile, nella Bolivia una solida controparte con
cui sostituire commercialmente, industrialmente la mancanza di legami commerciali
con Cina e Russia.
D. – Si ha l’impressione, poi,
che dietro questa querelle ci sia un muro contro muro basato più su motivazioni politiche...
R.
– Il regime iraniano è delegittimato dal risultato delle elezioni, anche a causa delle
proprie azioni contro i dissidenti e le gravi violazioni dei diritti umani. Questo
non è un problema per la comunità internazionale, in quanto deve trovare un accordo,
si trova quindi a dover negoziare un accordo con un governo che è alla ricerca di
legittimità. La ricerca di legittimità spesso viene ricercata attraverso delle dichiarazioni
dure, degli atti che possono essere visti come delle minacce. Archivio Disarmosupporta ovviamente l’approccio della maggior trasparenza. Non si può negare
una tecnologia, l’attività della comunità internazionale deve essere invece basata
proprio sul rispetto delle regole e il rispetto della legittimità del Consiglio di
Sicurezza delle Nazioni Unite. E l’Agenzia internazionale per l’energia atomica deve
avere pieno accesso a documenti, siti, per verificare se effettivamente questo programma
iraniano sia esclusivamente civile. La strada è quella del dialogo, in cui vengono
anche incluse la questione dei diritti umani e la questione di aspirare ad avere un
governo iraniano legittimo, con cui eventualmente sviluppare una cooperazione, così
come proposta da El Baradei.
Afghanistan Cresce
l’attesa per la presentazione della nuova strategia militare per l’Afghanistan che
il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, annuncerà martedì prossimo. Le cifre
sull’aumento delle truppe rimangono ancora molto incerte: la stampa Usa parla di incremento
tra i 20mila e 40mila soldati. Ai militari americani si aggiungerebbero fino a 7 mila
unità fornite dagli alleati europei della Nato, che chiedono tempo per organizzare
il proprio rinforzo. Intanto dall’Italia, dove ieri si è svolto un vertice tra il
premier Berlusconi ed il segretario generale dell’Alleanza Atlantica Rasmussen, giunge
l’impegno a sostenere gli sforzi militari. E mentre continua il confronto in seno
alla coalizione internazionale, torna a farsi sentire il leader dei talebani, Mullah
Omar, affermando che un cambio di strategia non servirà ad evitare la sconfitta degli
alleati.
Pakistan Ancora violenza in Pakistan: l’esercito si è scontrato
nelle ultime ore con gruppi di talebani nel Sud Waziristan, al confine con l'Afghanistan,
con un bilancio di sette miliziani uccisi e sei feriti. In questa regione, sostengono
fonti ufficiali, almeno 600 militanti sono stati uccisi da quando è cominciata l'offensiva
dell'esercito per riprendere il controllo delle roccaforti dei ribelli.
Arabia
Saudita: tempesta sul pellegrinaggio a La Mecca Il tradizionale pellegrinaggio
alla Mecca, in Arabia Saudita, che vede la partecipazione di circa due milioni di
musulmani, è funestato da una sciagura. Almeno 48 persone hanno perso la vita per
le inondazioni che nelle ultime ore hanno colpito la regione. Le celebrazioni per
la festa del sacrificio, insidiate anche dal pericolo di contagio dell’influenza A,
iniziano oggi con il passaggio attorno alla Grande Moschea e culmineranno sul monte
“Arafat” o “della misericordia”. Per la ricorrenza il presidente americano, Barack
Obama, ha inviato un messaggio di vicinanza a tutti i musulmani che celebrano la Eid
Al Adha.
India È cominciata con una parata della polizia a Mumbai
la giornata di manifestazioni in occasione del primo anniversario degli attentati
che il 26 novembre dell'anno scorso videro 10 terroristi pachistani tenere in ostaggio
per più di 60 ore la capitale economica dell'India, provocando oltre 170 vittime.
Commemorazioni anche nei pressi dei luoghi simbolo dell'assedio, come gli hotel Taj
Mahal e Oberoi Trident.
Somalia-liberazione ostaggi Due giornalisti
freelance, una canadese e un australiano, rapiti 15 mesi fa in Somalia, sono stati
liberati ieri dai sequestratori. Per il rilascio sarebbe stato pagato un riscatto
di un milione di dollari. I due, dopo aver passato la notte in un albergo di Mogadiscio,
sono stati trasferiti a Nairobi, in Kenya, per poi fare ritorno nei rispettivi Paesi.
No
di Obama al Trattato sul bando delle mine antiuomo Il presidente americano
Barack Obama non ha in programma di aderire al trattato internazionale che mette al
bando le mine antiuomo. Lo ha annunciato il Dipartimento di Stato di Washington, spiegando
che una revisione di questo tipo non va incontro alle esigenze di sicurezza americane.
Ce ne parla Elena Molinari:
Gli Stati
Uniti, in realtà, già rispettano la sostanza del Trattato, avendo smesso di usare
le mine dal ’91 ed avendone sospeso la produzione dal ’97. Ma l’amministrazione ha
determinato che non sarebbe in grado di garantire la propria sicurezza nazionale con
gli impegni assunti con amici ed alleati se firmasse la Convenzione. Il presidente
americano, dunque, decide di mantenere inalterata la posizione dei suoi predecessori.
Il Trattato per la messa al bando delle mine è, infatti, entrato in vigore dal 1999
ed è stato firmato da 156 Paesi, ma non da Usa, Russia, Cina ed India. Di fatto Washington
intende riservarsi il diritto di riprendere in futuro l’uso delle mine. Critica è
l’Associazione per i diritti umani Human Rights Watch, secondo la quale, ad esempio,
la decisione è in palese contrasto con gli impegni assunti dall’amministrazione di
una maggiore cooperazione con la comunità internazionale. Impegno, questo, che è stata
una delle principali motivazioni del Premio Nobel per la Pace ad Obama.
Stati
Uniti, giorno del ringraziamento Gli Stati Uniti e gli americani nel mondo
si apprestano a celebrare il Thanksgiving, il Giorno del Ringraziamento, osservato
il quarto giovedì di novembre in segno di gratitudine per la fine della stagione del
raccolto. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra)
Bollettino
del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIII no. 330 E'
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