Ultimi giorni prima del vertice internazionale sul clima dell’Onu, che si terrà dal
30 novembre prossimo a Copenhagen. Oggi a Bonn il capo negoziatore delle Nazioni Unite
per il clima, Yvo de Boer, tiene una conferenza stampa proprio su questa importante
assise, appuntamento fondamentale per decidere le misure da adottare a salvaguardia
dell’ambiente terrestre, un tema sul quale c’è difficoltà a raggiungere un accordo
globale. Su quali posizioni la comunità internazionale si appresta ad affrontare il
vertice di Copenaghen? Giancarlo La Vella lo ha chiesto ad Antonio Ballarin
Denti, docente di Fisica dell’ambiente all’Università Cattolica a Brescia:
R. – Io credo
che al punto in cui sono le cose sia più facile che ci sia un accordo su principi
e obiettivi a lungo termine, piuttosto che su azioni concrete da avviare oggi. E questo
perché tutto il lavoro che c’è stato in questo periodo tra Unione Europea, Stati Uniti
e grandi Paesi emettitori di gas serra – come la Cina – non ha di fatto portato ad
un accordo e che non credo possa essere ratificato concretamente a Copenaghen. Importante
è che si abbia la percezione della scala temporale su cui agire e che si individuino
almeno dei criteri che diano almeno vita – si spera prima della scadenza di Kyoto
e, quindi, prima del 2012 - a delle azioni successive.
D.
– Anzitutto, secondo lei, c’è da mettere d’accordo le grandi potenze ed i Paesi in
via di sviluppo sulla politica del clima?
R. – Ci
sono divergenze di interesse anzitutto sui tempi con cui si possano mettere in campo
delle tecnologie e dei modelli economici sostenibili ai fini del cambiamento climatico.
Certamente abbiamo delle economie che sono sfasate nel loro sviluppo: quella cinese-
ad esempio - cresce molto, ma è ancora tecnologicamente qualche decennio indietro
rispetto a quelle più di frontiera; gli stessi Stati Uniti hanno nella loro industria
energetica dei ritardi rispetto all’Europa. E’ quindi difficile che possano trovare
un accordo quei Paesi, che non sono ancora perfettamente allineati nel loro rapporto
tra produzione, economia e tecnologie.
D. – Quello
che ci preoccupa di più è il riscaldamento del clima. E’ veramente reale, secondo
lei, questo andamento?
R. – Su questo ormai c’è un
consenso non solo molto ampio nella comunità scientifica, ma il fatto che tutti i
governi, con le loro dichiarazioni ufficiali, supportino questa visione - anche quando
di fatto in qualche modo è controproducente rispetto al proprio assetto economico
– io credo che sia una prova che i governanti del mondo si fidano dell’opinione ormai
abbastanza largamente prevalente della comunità scientifica. Certo ci sono sempre
dei margini di incertezze, ma credo che queste riguardino non tanto le evoluzioni
del clima, ma quanto possano incidere su questo delle specifiche politiche, come -
per esempio - la politica del ruolo e dei sistemi agricoli e forestali è ancora soggetta
ad ampie incertezze.
D. – Basterà rispettare l’ambiente
per evitare il rischio di nuove catastrofi naturali?
R.
– Su scala planetaria bisogna anzitutto aver coscienza che tutti questi grandi problemi
sono un po’ tutti interconnessi fra loro. Il cambiamento climatico, la desertificazione,
la biodiversità e le risorse idriche sono tutti collegati in una rete di equilibri
ambientali. Questo è il primo elemento di coscienza che devono oggi assumere i governanti.
Certamente situazioni pesanti a livello locale possono sempre capitare. L’importante
è riuscire a mantenere un equilibrio generale per tutto il Pianeta, anche perché ormai
siamo globalizzati da ogni punto di vista e non soltanto da un punto di vista economico-finanziario,
ma anche da un punto di vista del rapporto tra uomo e natura, tra uomo e ambiente.