Padre Marco Rupnik sull'incontro di Benedetto XVI con gli artisti: un "grande gesto"
di dialogo e di amicizia che segnerà il mondo dell'arte
L'invito di Benedetto XVI al mondo dell'arte, perché si faccia interprete nel mondo
di una bellezza che elevi lo spirito dell'uomo e lo apra alla speranza, continua a
raccogliere sempre nuovi consensi. Sulle parole pronunciate sabato scorso dal Papa
nella Cappella Sistina, si sofferma il gesuita, padre Marco Ivan Rupnik, teologo,
docente universitario e artista, direttore del Centro Aletti nel Pontificio Istituto
Orientale, che raduna artisti di ispirazione cristiana. L'intervista è di Fabio
Colagrande:
R. - Questo
gesto di Benedetto XVI è di grande importanza per il dialogo tra la Chiesa e l’arte,
ma soprattutto tra la Chiesa e gli artisti. Questo incontro io penso esprima comunque
una certa fatica. Perché? Perché, altrimenti, si tratterebbe di un avvenimento un
po’ più usuale. Invece, si è avuto 45 anni fa e 10 anni fa: ciò vuol dire che la Chiesa
percepisce che gli artisti rimangono in qualche modo ancora lontani, oppure a passi
timidi stanno avvicinandosi a riprendere i grandi temi spirituali che la Chiesa custodisce
nei suoi tesori. E certamente, come si sentiva dalle parole di Benedetto XVI, a lui
preme molto che questo incontro si acceleri. D. - Perché, secondo
lei, c’è questa difficoltà? R. - Queste difficoltà hanno radici
lontane. Certamente, bisogna tener conto che l’arte in una certa epoca storica si
è sentita spiazzata, emarginata, messa su un binario cieco, in quanto l’Europa ha
optato per il concetto, per la parola, per la logica, per la scienza, per la filosofia
come via della conoscenza, mentre in tempi antichi l'arte era la via regale, il simbolo,
la metafora. Trovandosi nella parte più emarginata, certamente l’arte raccoglie tutta
una protesta di questo uomo offeso, ferito in schemi molto razionalistici, intellettualistici,
meccanici, schematici. Certamente, tutto ciò che è più tipicamente del soggetto si
esprime nell’arte. Allora è chiaro che, quando si incomincia ad esprimere un soggetto
per far vedere la sua unicità, la sua forza, si cercano forme nuove, linguaggi propri,
grammatiche proprie, codici propri e così nasce una incomunicabilità. A quel punto,
anche la Chiesa si è trovata certamente coinvolta, perché noi viviamo dentro la cultura.
Tuttavia, mi sembra che oggi si avverta ormai di nuovo un desiderio - magari non direttamente,
non ancora esplicitamente religioso - ma condiviso da tanti che mi dicono che è bello
creare una realtà che possa trasmettere qualcosa che vada al di là di se stessa. Un'opera
di fronte alla quale ritrovarsi sia nel momento di difficoltà della vita, sia nel
momento felice. Un’opera che potrebbe indicare qualcosa a qualcuno, per essere insieme
con questa persona che guarda l’opera d’arte. Ormai, siamo ad un punto in cui il desiderio
di uscire da se stessi e mettersi in comunicazione e in comunione con gli altri diventa
uno stato d’animo di tantissimi artisti. E per questo penso che la Chiesa abbia una
grandissima occasione, in questo momento, di iniziare a camminare più amichevolmente
- come diceva lo stesso Santo Padre - “con” gli artisti, per aiutarli ad aprire e
far sperimentare loro questi grandi tesori della salvezza. Più l’artista sarà “salvato”,
più sarà “redento”, più “forte” sarà la sua opera d’arte. Noi dobbiamo aiutarli affinché
i grandi contenuti di redenzione, di luce, di amore, di accoglienza, di misericordia
passino nelle persone che hanno questo talento di sensibilità e di capacità di espressione.(Montaggio a cura di Maria Brigini)