Messico: migranti sequestrati mentre tentano di passare dal Messico negli Usa
Mons. Rafael Romo Muñoz, arcivescovo di Tijuana, città messicana confinante con gli
Stati Uniti, al suo rientro dopo aver presso parte in Vaticano al VI Congresso Mondiale
della Pastorale per i Migranti e i Rifugiati, è tornato a parlare con dolore sul fenomeno
dei migranti vittime di sequestri mentre tentano di attraversare illegalmente la frontiera
tra i due Paesi. Ormai, come dimostrano anche rapporti di organismo internazionali,
nella “terra di nessuno”, cioè una vasta area tra i due Paesi dell’America del nord
prosperano numerose bande criminali che sequestrano i migranti per farsi pagare un
riscatto. La Commissione per la mobilità umana dell’arcidiocesi ha potuto raccogliere
documentazione su numerosi casi e ciò permette di sostenere che nei primi sei mesi
del 2009 i sequestrati sono almeno novemila persone. Mons. Romo Muñoz ha detto di
aver denunciato questa dolorosa realtà nel corso del Congresso in Vaticano chiedendo
a tutti i partecipanti di prendere coscienza sulla gravità del fenomeno che non sembra
diminuire anche perché, secondo la polizia messicana, ormai si parla di ingenti “fatturati”.
Nel mese di giugno l’Osservatorio pastorale del Consiglio episcopale dell’America
Latina (Celam) ha già denunciato che ogni mese in Messico spariscono più di 1.600
persone dirette illegalmente negli Stati Uniti. Arrivano da ogni Paese dell’America
centrale, più della metà dall’Honduras. Le cifre sui rapimenti dei migranti sono l’esito
di un’inchiesta della Commissione nazionale dei Diritti umani messicana durata da
settembre 2008 al febbraio di quest’anno, diffusa dal Celam. Nei sei mesi esaminati
dal rapporto, i sequestri hanno raggiunto quasi quota diecimila e la cifra potrebbe
verosimilmente rispecchiare la media annuale, ventimila sparizioni. Di solito i migranti
sono catturati a bordo dei treni che li portano oltreconfine, oppure mentre si nascondono
nelle stazioni in attesa di partire, sempre in gruppo, per lo più nel sud del Paese.
Dopo averli maltrattati, i rapitori chiedono ai prigionieri un riscatto dai 1500 ai
5000 dollari a persona. Cifre alla mano, il traffico potrebbe aver fatto guadagnare
ai malviventi almeno 25 milioni di dollari in soli sei mesi. I rapitori sono ben organizzati,
ma soprattutto ben protetti dai membri corrotti delle autorità statali. Agiscono in
bande armate con la complicità delle forze dell’ordine: quasi tutte le vittime hanno
raccontato di essere state fermate, con la promessa di cibo o di un passaggio per
gli Stati Uniti, da uomini in uniforme, a volte in pattuglia. Molti hanno raccontato
che gli agenti della polizia si facevano vivi anche durante i giorni di prigionia,
portavano denaro o alcool ai sequestratori, altre volte aiutavano persino a sorvegliare
i luoghi di detenzione. A causa della collusione con le autorità, i rapimenti restano
normalmente impuniti. (L.B.)