La Chiesa sudcoreana verso i rifugiati del nord: “Sono agenti di unità ed evangelizzazione”
Il dramma degli esuli nordcoreani che vivono nella discriminazione nella parte sud
della penisola, è stato il tema al centro delle riflessioni dell’incontro “I saeteomin,
agenti di Vangelo”, promosso dalla Rete episcopale per la Riconciliazione del popolo
coreano e svoltosi domenica scorsa nel Centro Hanmaum di Seul. Saeteomin in coreano
significa “rifugiati, coloni”, ed è il termine con cui i sudcoreani chiamano coloro
che riescono a scappare dal regime di Pyongyang per stabilirsi dall’altra parte del
confine. Col tempo, dato il bassissimo livello d’integrazione degli esuli, è divenuto
un termine dispregiativo. E proprio da questo è voluto partire il vescovo ausiliare
di Seoul, mons. Lucas Kim Woon-hoe, citato da AsiaNews: “Dobbiamo essere veri testimoni
di quello che accade nel Nord. E niente può aiutarci di più in questo compito dei
nostri fratelli saeteomin, che hanno la nostra identica dignità”. Per questo motivo
i rifugiati nordcoreani “sono agenti di evangelizzazione, membri a tutti gli effetti
della nostra società e amici con cui costruire insieme il futuro”. “Ascoltando la
loro testimonianza – aggiunto il presule -, impariamo a conoscerli e ad accoglierli,
anche in vista del loro ruolo di evangelizzatori, quando la Corea del Nord tornerà
ad essere un Paese libero”. Oltre ai partecipanti laici, erano presenti circa 90 tra
sacerdoti, religiosi e saeteomin. Uno di loro, Dong Young-soo, riuscito a entrare
in Corea del Sud nel 2003, ha messo in luce le discriminazioni che colpiscono in base
all’appartenenza al ceto sociale. In Corea del Sud in base alla classe sociale, infatti,
si ha accesso a determinati tipi di istruzione o lavoro. E in effetti, la comunità
dei saeteomin vive emarginata dal resto del Paese: considerati dei traditori inaffidabili
in patria, nel sud vengono trattati come mendicanti perenni. Secondo il professor
Ko Kyeong-bin, che insegna all’Università di Seoul, “l’agonia dei 20mila saeteomin
che vivono qui ci preoccupa molto. D’altra parte, questi sono soltanto lo specchio
dei 20 milioni di nordcoreani che arriveranno da noi dopo la Riunificazione delle
due Coree. Dobbiamo fare molta strada, prima di essere pronti ad accoglierli nel modo
giusto”. L’accademico, che ha guidato per anni il dipartimento per la Riunificazione
del governo, aggiunge: “È proprio il pregiudizio e la discriminazione contro di loro
che ha contribuito a rendere più difficile la strada verso una nuova unione fra i
due Paesi. Dobbiamo cambiare il nostro modo di fare, perché siano proprio loro gli
agenti del ritorno all’unità. In un secondo momento, saranno anche agenti di evangelizzazione”.
Prima di chiudere l’incontro, mons. Kim ha espresso un auspicio: “Con questa giornata
ho capito quale importante missione dobbiamo compiere, il prima possibile. Ho ascoltato
la testimonianza dei saeteomin e ne sono rimasto molto colpito. Pregherò Dio, affinché
giunga presto il giorno in cui tutti noi potremo vivere con un cuore solo la riconciliazione
delle due Coree”. (M.G.)