Il nuovo direttore di “Avvenire”, Marco Tarquinio, alla Radio Vaticana: la nostra
linea editoriale è la centralità della persona umana
Marco Tarquinio è il nuovo direttore di “Avvenire”, il quotidiano della Conferenza
episcopale italiana. La nomina a pieno titolo di Tarquinio da parte del Consiglio
di amministrazione del giornale è arrivata oggi dopo quasi tre mesi di direzione ad
interim del giornale, intrapresa dopo le dimissioni di Dino Boffo. Tarquinio,
nato a Foligno, 51 anni, sposato con due figlie, lavora dal 1994 per il quotidiano
cattolico, dove ha ricoperto gli incarichi di caporedattore e vicedirettore. A fare
gli auguri di "buon lavoro" tra gli altri anche il segretario di Stato vaticano, cardinale
Tarcisio Bertone. In questa intervista di Debora Donnini, il direttore Marco
Tarquinio si sofferma sulle sfide del suo nuovo incarico:
R. – Naturalmente,
c’è una grande emozione in un momento come questo. Io sono ad “Avvenire” dal 1994,
quindi è un giornale che ho imparato a conoscere bene; ci sono arrivato per scelta,
venendo da altre testate giornalistiche anche importanti, e non mi sono mai pentito
di questa scelta. E’ la voce dei cattolici italiani, è un giornale capace di alzare
lo sguardo sul mondo e di concentrarlo sui più deboli e sugli ultimi; riusciamo a
farlo, ad “Avvenire”, coniugando la sensibilità cristiana e la grande professionalità
dei colleghi che ci lavorano. Quindi, l’emozione nasce da tutto questo, oltre che
dal fatto di raccogliere un testimone importante da coloro che mi hanno preceduto
alla direzione di questo giornale.
D. – Qual è la
linea editoriale che lei intende seguire?
R. – La
linea editoriale di “Avvenire” non cambia. Siamo un giornale che intende valorizzare
tutto il bene che c’è e cresce nella società italiana, guardando a tutti i problemi
che ci sono nella nostra società ma con un obiettivo chiaro: dare voce a ciò che è
segno di contraddizione rispetto alla crisi, all’incomunicabilità, allo scontro, alla
difficoltà di costruire un futuro umano, vale a dire una società centrata sulla persona
umana.
D. – Nel comunicato del Cda di “Avvenire”
si legge che il quotidiano offre una lettura della realtà, prima ancora della sua
interpretazione, ispirandosi al primato della verità e non curante di logiche omologanti.
Le chiedo qualche esempio di questa non-omologazione che “Avvenire” fa e intende continuare
a fare, e come ispirarsi oggi al primato della verità?
R.
– Noi abbiamo una bussola chiara nel nostro lavoro: la centralità della persona umana
e, se vogliamo usare termini molto efficaci che ci sono stati consegnati dal Magistero
di Giovanni Paolo II e di Papa Benedetto XVI, abbiamo dei valori sui quali non mercanteggiamo,
nel leggere la realtà e nel valutare i fatti della politica, dell’economia, della
società: il valore assoluto della vita umana dal suo inizio fino al termine naturale,
la centralità naturale e giuridica della famiglia, la libertà profonda delle famiglie
nell’educare i figli. Tutto questo ci dà la griglia con la quale guardare alla realtà
e ci fa incamminare verso la ricerca della verità. Tutto questo rischia anche di diventare
pietra dello scandalo, in tante situazioni, perché il nostro approccio ai fatti di
cronaca risulta sorprendente per chi guarda con ottimismo esagerato a ciò che sta
accadendo nel nostro mondo. Per spiegarmi bene: i conseguimenti della scienza e della
tecnologia sono importanti e aiutano l’uomo a vivere meglio sulla faccia della terra,
ma nella misura in cui sono al servizio dell’uomo, non se diventano strumenti per
manipolare l’umanità e per fare della terra un grande laboratorio senza regole.
D.
– Queste logiche non omologanti sono appunto anche quelle di parlare di temi come
la persecuzione dei cristiani nel mondo?
R. – Questo
è un impegno quotidiano: tenere monitorata la realtà dei nostri fratelli di fede.
Ma non solo per una solidarietà inevitabile: per una scelta culturale. I cristiani
sulla faccia della terra sono un segno di pace e sono testimoni della possibilità
della convivenza. Questo è frutto della storia ed è il frutto di una consapevolezza
crescente di quello che significa essere fedeli al Vangelo ed essere Chiesa. Tutto
questo non è percepito in un Occidente che ancora ha sulla coscienza l’epoca della
colonizzazione, gli errori che sono stati commessi dalle grandi nazioni europee nello
sfruttare la terra … C’è una sorta di incapacità di comprendere che i cristiani sono
vittime, in tante situazioni. Noi pensiamo sempre al cristianesimo come ad un dato
solamente europeo: il cristianesimo è un dato mondiale e le società nelle quali il
dato cristiano è profondamente radicato sono oggi spesso in condizione di minoranza.
E minoranza drammaticamente perseguitata. Non saper riconoscere questo significa non
capire che il problema della libertà religiosa nel mondo va affrontato in maniera
radicalmente diversa da chi si crede al sicuro. E purtroppo, non è così!
D.
– Rispetto all’Europa, lei ritiene centrale la difesa della famiglia, anche con politiche
adeguate?
R. – Lo sforzo che stiamo facendo è di
far capire che in una società che si va “precarizzando” per tanti motivi, difendere
oggi nella nostra Europa, in Italia, l’idea di una famiglia così strutturata e tendenzialmente
stabile, significa continuare a rendere un grande servizio all’idea di una società
nella quale la rete di solidarietà non è un’idea astratta, ma è la concretezza di
vita. L’idea comunitaria appartiene profondamente alla visione cristiana dello “stare
insieme” in una società, ma è anche la via per l’integrazione dei “diversi da noi”
culturalmente, e per costruire quindi società che abbiano un futuro.
D.
– Paolo VI fu l’ideatore di “Avvenire”; voleva – come viene appunto sottolineato nel
comunicato del Cda oggi – un quotidiano fatto da cattolici ma non solo per i cattolici.
Ecco: come realizzare questo intento?
R. – L’esperienza
di questi anni dice che “Avvenire” è un giornale che riesce a parlare a coloro che
sono parte della comunità cattolica, ma riesce ad interessare e coinvolgere anche
i cosiddetti “lontani”. Abbiamo trovato tanti compagni di strada, lungo questo cammino,
e anche lettori. Io credo che questa strada debba essere ancora battuta. Abbiamo la
capacità per farlo perché quando si hanno valori chiari di riferimento, il dialogo
diventa possibile. Quello che riteniamo essere necessario oggi, è che la voce dei
cattolici ci sia e si faccia sentire in questo dialogo con la sua specificità e la
sua capacità profetica e di futuro.