Italia: aspre polemiche sulla privatizzazione dell’acqua
In Italia la completa privatizzazione della gestione dell’acqua diventa una realtà.
A stabilirlo l’approvazione, qualche giorno fa, di un decreto che liberalizza anche
altri servizi pubblici. D’ora in poi gli enti locali potranno affidare il servizio
idrico a soggetti privati tramite una gara d’appalto alla quale potranno però continuare
a partecipare anche soggetti pubblici. Una vera novità che suscita perplessità e
proteste da vari ambienti. Secondo il Ministro per le politiche Comunitarie e padre
del provvedimento, Andrea Ronchi, intervistato da Federico Piana, porterà
efficienza e risparmio:
R. – Innanzitutto
il bene dell’acqua è un bene prezioso comune, resta pubblico a tutti gli effetti e
questo concetto è ulteriormente rafforzato all’interno della nostra legge. Noi abbiamo
cercato ovviamente di realizzare un servizio per quanto riguarda il discorso degli
utenti. Noi abbiamo una perdita molto secca del 34 per cento degli acquedotti, prezzi
diversi su un bene pubblico comune come l’acqua. Quindi noi con questa norma andiamo
a razionalizzare il servizio, a migliorarlo e andiamo incontro, anche a livello di
costi, alla pubblica opinione e al cittadino.
D.
– E a chi dice, ministro, che forse era meglio farla gestire da qualche ente pubblico,
lei cosa risponde?
R. – Noi andiamo a dire al servizio
pubblico di aprirsi ai privati, secondo regole chiare, perché bisogna aprire il mercato.
Si parla tanto di liberalizzazioni e noi stiamo andando su questa strada, ovviamente
garantendo qualità del servizio e soprattutto cifre basse.
D.
– Ecco, quali sono nel concreto le disposizioni di garanzia?
R.
– Nel concreto ci saranno delle partecipazioni di privati che ovviamente avranno la
qualità e i requisiti a posto per entrare all’interno dei monopoli, che non sono più
tali, al fine proprio di liberare il mercato, di aprire alla concorrenza e quindi
di rendere migliore una qualità del servizio. Per esempio è una follia che ancora
oggi il 34 per cento dell’acqua venga disperso dagli acquedotti. Soprattutto bisogna
evitare un’altra discrasia: costi variabili di un bene prezioso e pubblico come l’acqua.
Contrarie
molte organizzazioni della società civile che hanno promesso battaglia per impedire
quella che di fatto viene considerata una vera e propria privatizzazione di un bene
giudicato essenziale e per questo non gestibile dai privati. Per Paolo Carsetti,
segretario del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, ad essere messa sotto accusa
deve essere anche l’attuale gestione mista pubblico-privata:
R. – Già
abbiamo i primi riscontri rispetto alle conseguenze dirette sui cittadini e anche
sulla risorsa. In primis: si è registrato dal 1996 al 2006 un aumento delle tariffe
pari al 61 per cento, a fronte di un’inflazione del 25 per cento. Per contro, non
è stato un aumento degli investimenti, che era stata una delle motivazioni accampate
per dire: “solo i privati possono apportare capitali al fine di ristrutturare la rete
idrica”.
D. – Ma non la rassicura il fatto che comunque
il controllo rimarrà in mano pubblica?
R. – Effettivamente
è una mistificazione quella del controllo pubblico, perché poi, se scendiamo nel concreto,
e andiamo a vedere quelle che sono le società misto pubbliche-private ci si chiede:
chi è che effettivamente ha in mano il potere decisionale?
D.
– Eppure gli acquedotti italiani hanno perdite del 30, 40 per cento...
R.
– Sono dieci, quindici anni che si parla di perdite che si aggirano intorno al 30,
40 per cento. Oggi ancora ne parliamo, nonostante ci sia più della metà della popolazione
italiana che è gestita da soggetti privati, che hanno le stesse identiche perdite
dei nostri acquedotti. Quindi, gli investimenti non sono stati fatti, ma anche perché
non c’è concorrenza su un servizio come l’acqua. Si parla di monopolio naturale.
Ma
quanto costa realmente ai cittadini l’inefficienza dell’attuale gestione delle acque
in Italia? A calcolarlo è stato uno studio realizzato dal prof. Alessandro Marangoni,
economista della Bocconi di Milano:
R. – Noi
abbiamo realizzato questa analisi che quantifica in ben 110 miliardi di euro nel nostro
Paese il costo, sull’arco di 25 anni, delle carenze del sistema idrico italiano.
D.
– Quando lei parla di carenze, cosa intende professor Marangoni? Entriamo nel dettaglio...
R.
– Sappiamo che i livelli di perdite sulle reti idriche, a seconda dei territori, vanno
dal 30, fino al 45, 50 per cento. Queste perdite non hanno solo un rilievo dal punto
di vista ambientale di efficienza del servizio al cittadino, ma hanno un costo economico
molto rilevante. Mi spiego: l’acqua è – passatemi il termine – un prodotto che costa,
nel senso che indipendentemente dalla provenienza, come per il gas, per il petrolio,
per essere utilizzato dall’uomo deve essere lavorato, quindi deve essere accumulato
nei bacini, deve essere reso potabile, deve essere trasportato da dove viene prelevato
alle case di ciascuno di noi. Tutto questo è comunque un processo industriale e quindi
ha dei costi. Se io, dunque, butto via dell’acqua nelle condutture, nelle reti utilities,
butto via un prodotto che costa. (Montaggi a cura di Maria Brigini)