Stupore e rammarico in Vaticano per la sentenza della Corte europea sul Crocifisso.
Nota di padre Lombardi e intervista con mons. Giordano
La sentenza della Corte europea dei Diritti dell’uomo contro la presenza del Crocifisso
nelle aule scolastiche “è stata accolta in Vaticano con stupore e rammarico”: è quanto
ha affermato il direttore della Sala Stampa della Santa Sede padre Federico Lombardi.
Ecco le sue parole:
“Il
Crocifisso è stato sempre un segno di offerta di amore di Dio e di unione e accoglienza
per tutta l’umanità. Dispiace che venga considerato come un segno di divisione, di
esclusione o di limitazione della libertà. Non è questo, e non lo è nel sentire comune
della nostra gente.
In particolare, è grave voler emarginare
dal mondo educativo un segno fondamentale dell’importanza dei valori religiosi nella
storia e nella cultura italiana. La religione dà un contributo prezioso per la formazione
e la crescita morale delle persone, ed è una componente essenziale della nostra civiltà.
E’ sbagliato e miope volerla escludere dalla realtà educativa.
Stupisce
poi che una Corte europea intervenga pesantemente in una materia molto profondamente
legata alla identità storica, culturale, spirituale del popolo italiano. Non è per
questa via che si viene attratti ad amare e condividere di più l’idea europea, che
come cattolici italiani abbiamo fortemente sostenuto fin dalle sue origini. Sembra
che si voglia disconoscere il ruolo del cristianesimo nella formazione dell’identità
europea, che invece è stato e rimane essenziale”.
Sulla sentenza
della Corte, Luca Collodi ha sentito il parere di mons. Aldo Giordano,
osservatore permanente della Santa Sede presso il Consiglio d’Europa:
R.
– Certamente, la decisione della Corte europea ha sorpreso, ci ha interrogati perché
pone dei problemi, pone dei seri problemi! Sembra che la sentenza abbia insistito
sul fatto che ci sarebbe un contrasto tra l’esposizione del Crocifisso e il pluralismo
educativo: mi sembra che questo contrasto sia del tutto infondato. Inoltre, si sostiene
che ci sarebbe contrasto tra questa esposizione e la libertà religiosa dei singoli:
anche questo mi sembra vada del tutto dimostrato. Abbiamo molte esperienze di minoranze
religiose che vivono in nazioni di un’altra maggioranza religiosa e vivono liberamente.
Ecco: i motivi per cui non si vede questo contrasto sono innanzitutto il fatto stesso
del simbolo della Croce: è un simbolo che impressiona proprio perché è un simbolo
che unisce, raccoglie, va veramente al di là delle differenze, anche delle differenze
di Credo. E’ già chiaro che un simbolo di una persona con le braccia stese, quindi
braccia stese verso tutti, è un simbolo di una vita che viene donata per amore e viene
donata a tutti, per amore: quindi, credo che sia molto importante questo richiamo
che l’amore è costitutivo, sia della vita dei singoli, sia della vita sociale. E inoltre,
un aspetto ancora più misterioso: su questa Croce c’è un uomo di dolore, l’uomo della
sofferenza. E questo dà fiducia alle persone che sperimentano la durezza del male,
la durezza del dolore, che sperimentano le lacrime … E io mi domando: perché portare
via un simbolo, l’unico simbolo, forse, che può instaurare una qualche fiducia? Sappiamo
che è un simbolo che ispira la radicale non violenza, un simbolo di pace. Altro che,
allora, un simbolo che andrebbe a violare la libertà, andrebbe a violare un pluralismo!
Un secondo aspetto è che la religione ha un’importanza proprio per l’aspetto educativo,
ha una grossa valenza educativa. La religione veicola degli insegnamenti che sono
utili per tutti, sono utili anche per chi professa religioni diverse o non ne professa
alcuna. Nella mia ormai lunga esperienza europea, ho molti amici musulmani, per esempio,
ho amici ebrei, ho amici non credenti ma mai nessuno ha chiesto o avuto problemi con
il Crocifisso: anzi, io sento sempre una impressione misteriosa davanti al Crocifisso.
E c’è coscienza che il riferimento al Crocifisso non è un rischio per i diritti dei
singoli, ma è un contributo, un contributo significativo anche nella sfera pubblica
per difendere, per promuovere, per fondare – soprattutto – i diritti dei singoli,
i diritti della persona; e fonda e aiuta a far crescere persone capaci di vivere questi
diritti: persone virtuose. Quindi, ripeto, credo che anche su questo punto, sulla
valenza educativa sarebbe importante una riflessione approfondita e serena. Un altro
aspetto che è molto importante e che invece sembra radicalmente trascurato dalla sentenza,
è che il Crocifisso è espressione di un sentimento religioso, certamente, ma è anche
espressione di una storia, di un’identità: un’identità che – noi sappiamo – è molto
cara all’Italia che è anche – tra l’altro – il mio Paese. In qualche maniera, la sentenza
finisce per contestare la radice dei diritti che si vivono nel territorio italiano,
disconoscendo l’importanza proprio della religione e, in particolare, dei cristianesimo
che ha un posto molto importante nella costruzione di questa identità della nazione
e anche dell’identità europea, naturalmente: pensiamo a quanto la religione cattolica,
il cristianesimo, sono importanti per dire, per esempio, la centralità della persona
umana; per dire la dignità della persona umana; o per dire il valore di tutti gli
uomini. Pensiamo all’universalità del cristianesimo come potrebbe essere oggi valorizzato
in un mondo globalizzato in questo contesto di mondializzazione, dove abbiamo estremo
bisogno di avere una luce, di avere una visione capace di dilatare l’orizzonte su
tutta l’umanità. Ecco: per questi motivi la sentenza della Corte è anche fonte di
una sofferenza. Però, abbiamo la speranza che il ricorso già annunciato permetterà
di andare in profondità, e quindi di rivedere questa sentenza proprio per il bene
dell’Italia ma – io direi – più in generale, per il bene dell’Europa! La Corte ha
voluto, in fondo, essere audace, andare oltre ad una tradizione di giurisprudenza,
con questa sentenza.
D. – Mons. Giordano, vale forse
la pena sottolineare che il Crocifisso non è un simbolo che esprime un potere religioso
…
R. – Questo mi sembra veramente un punto assurdo:
legare il Crocifisso al potere! Che nella storia ci siano state delle pagine erronee,
questo lo possiamo riconoscere. Ma che queste pagine sbagliate siano giustificate
dal Crocifisso, mi sembra veramente paradossale. Il Crocifisso è proprio il simbolo
di una vita che viene radicalmente donata per tutti: per te, che hai un’altra fede
o non hai una fede, il Crocifisso dona la vita. Per costituire il volto dell’altro,
il Crocifisso lascia quasi distruggere il proprio volto: non ha più splendore, non
ha più bellezza, non ha più niente che attiri, il suo sguardo quasi scompare per l’altro!
E questo è veramente il massimo di quello che si possa pensare della non violenza,
del non potere, ma dell’amore, piuttosto. Se ha un potere, ha un potere immenso: il
potere dell’amore!
D. – Dobbiamo dire che il Crocifisso
è anche espressione di una cultura popolare. Lei pensa che l’Europa abbia operato
una sorta di ingerenza su una tradizione popolare che dà identità alla storia di un
Paese come l’Italia?
R. – Questo mi sembra molto vero,
e percepisco anche che spesso le persone si sentono in qualche maniera tristi o umiliate,
anche, davanti a queste posizioni. Cioè, c’è un certo atteggiamento ideologico nel
nome di certe idee, che forse si ritengono anche più progressiste: nel nome di certe
idee si vuole forzare la realtà o si vogliono imporre delle cose alla realtà. Io credo
invece che l’Europa abbia estremamente bisogno di un rispetto delle realtà dei popoli,
delle tradizioni … Tra l’altro, questo è chiaramente riconosciuto anche nel preambolo
della Convenzione dei diritti dell’uomo che è la Convenzione base del Consiglio d’Europa
e di tutti i Paesi membri. C’è anche un po’ un senso di paura, perché se noi continuiamo
a corrodere l’identità, cominciamo a non avere più visione per il futuro. C’è un qualcosa
che sa un po’ di malato – direi – a livello psicologico: ma anche questo credo che
sarebbe una realtà su cui confrontarsi con serietà!
D.
– La sentenza della Corte non rischia di allontanare ancora di più l’ideale europeo
dal comune sentire della gente?
R. – Sì: mi sembra che
l’Europa rischi l’idea europea, rischia già su questo punto, sul contatto con la gente
concreta. E questa sentenza mi sembra che si metta ancora su questa linea. Invece
di un’Europa che sia al servizio delle persone, al servizio dei popoli, al servizio
dell’identità e quindi sappia prendere l’identità, metterla in una comunione dove
le identità siano valorizzate, sembra invece che abbiamo paura delle identità, abbiamo
paura delle tradizioni e quindi sembra che creiamo uno spazio vuoto. E qui, mi sembra
che anche la sentenza usi un concetto di laicità, una concezione di laicità in senso
esclusivista: cioè, una laicità che tenda ad escludere, quindi una laicità che crea
spazio vuoto! E questo concetto di laicità viene già abbandonato anche in diversi
Paesi dell’Europa, anche se è stato presente! Ed è strano che noi, qui, la ribadiamo.
Cioè, una laicità che è spazio vuoto è una laicità che è pericolosa, è una laicità
che non attira. Piuttosto abbiamo bisogno di una laicità che crea spazio per tutti
i contributi positivi, per il sociale, per l’uomo, per affrontare i grossi problemi
dell’umanità. Ecco: mi sembra che, in questo senso, sia una sentenza “vecchia”, che
non esprime ciò che la gente in Europa comincia veramente a sentire e a voler vivere
e che qualche nazione comincia già a percepire. Mi sembra che siamo rimasti un po’
nel vecchio, nel sorpassato.
D. – Tra poco l’Europa
adotterà il Trattato di Lisbona. Per lei, il Trattato su questioni di questi tipo
– penso però anche alla bioetica, mons. Giordano – non rischia di imporre scelte non
condivise ai singoli Stati nazionali?
R. – Il rischio,
certamente c’è. Questo rischio potrebbe essere arginato se i popoli dei vari Paesi
cominciassero più seriamente a partecipare alla vita politica europea ed a pronunciarsi.
Io credo che bisognerebbe che i popoli, i gruppi, gli organismi vari si pronunciassero.
Quindi, anche se questa sentenza generasse un grosso dibattito in Europa, innanzitutto
in Italia, e arrivassero molti contributi e molte reazioni, credo che allora anche
il mondo politico, il mondo delle istituzioni potrebbe ascoltarlo. Spesso è anche
il silenzio da parte delle nazioni, da parte dei rappresentanti dei Paesi, che contribuisce
anche a questa lontananza delle nazioni dall’Europa. E questo favorisce anche delle
minoranze, delle lobby, che diventano molto forti – in questo caso – perché sono sole,
e quindi sentono anche di avere un ruolo che non hanno, sentono quasi di essere profeti
in uno spazio che purtroppo alle volte è un po’ vuoto. E qui, credo che anche la Chiesa,
le religioni abbiano un ruolo importante, se potessero anche condividere tra di loro
e portare con un certo coraggio il proprio contributo: perché è un contributo all’umanità!
D.
– Mons. Giordano, questa vicenda dimostra che abbiamo davanti a noi un’Europa – almeno
nei vertici della burocrazia – senz’anima?
R. – In realtà,
io sento che c’è un contrasto tra questa sentenza che sembra esprimere questo e invece,
dall’altra parte, incominciare a sentire presso i giovani, presso le persone di tanti
Paesi, presso i cittadini, una forte domanda dell’anima. In questo senso ho parlato
di una sentenza “vecchia”: perché esprime un’Europa che, mi sembra, cominci a non
più esserci. Cioè, davanti alle grosse sfide della storia, mi sembra che noi abbiamo
un’Europa più in ricerca, un’Europa che cerca un senso, che cerca delle chiavi di
lettura, che si interroga su cosa possiamo fare veramente davanti alla sfida della
fame, davanti alla sfida anche della giustizia, davanti alla sfida dell’acqua, delle
risorse … In qualche maniera, anche oggi sentivo alcuni che mi dicevano: ma in fondo,
abbiamo problemi più seri; come può essere che noi dedichiamo tempo ed energie a far
togliere un simbolo come il Crocifisso, che invece darebbe un contributo proprio per
queste grosse problematiche? Trattiamo questi problemi che sono problemi dell’uomo,
e non togliamo ancora chi in qualche maniera dona un’ispirazione talmente forte, talmente
grande perché l’umanità possa impegnarsi a risolvere questi enormi problemi! C’è un
Dio, un uomo che muore in Croce per amore: veramente può ispirare la capacità di condivisione,
la capacità di fratellanza universale. Se ci manca questa sorgente di una fratellanza
universale, chi ci darà la forza, chi ci darà la volontà per rischiare la nostra vita
per la condivisione dei beni?