L'impegno missionario della Chiesa, espressione dell'amore di Dio per l'uomo. Intervista
con mons. Robert Sarah
Capire meglio le vie per far arrivare il Vangelo e l'amore di Dio al cuore della società
moderna. E' questo uno dei temi principali di cui discute in questi giorni a Roma
la Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli. Presso la Pontificia Università
Urbaniana, la Congregazione è riunita da ieri per la sua assemblea plenaria annuale,
durante la quale vengono presi in esame le priorità riguardanti l'attività missionaria.
Filo conduttore di quest'anno, "San Paolo e i nuovi aeropaghi". Se infatti la competenza
della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli si estende a quasi tutta l'Africa
e l'Asia, l'Oceania, e alcune Chiese del Canada, degli Stati Uniti e dell'America
Latina, in realtà l'attenzione all'annuncio missionario riguarda oggi anche le Chiese
di lunga cristianità. Di qui, l'invito della Congregazione a dedicare un'attenzione
speciale alla formazione, per raggiungere i nuovi aeropaghi della società moderna.
Come spiega mons. Robert Sarah, arcivescovo emerito di Conakry, Guinea Bissau,
e segretario della Congregazioone per l'Evangelizzazione dei Popoli, intervistato
da Pietro Cocco: R.
- Abbiamo guardato soprattutto alla vita di San Paolo, che dovrà essere il nostro
modello. La prima cosa sulla quale vogliamo insistere è il sacerdote, che dev’essere
anche lui un amico innamorato di Cristo per poter portare questo amore agli altri.
Se non è convinto, non potrà essere missionario. Ciò vuol dire che devono fare di
tutto per incontrare Cristo: e questo è il principio essenziale perché, come ha detto
San Giovanni nella Prima Lettera, “ciò che noi abbiamo contemplato, ciò che noi abbiamo
toccato con le nostre mani, lo annunciamo”. Dunque, bisogna fare l’esperienza personale
di Cristo per poterlo portare agli altri. Come San Paolo, che ha incontrato Cristo,
che è stato “afferrato” da Cristo in modo tale da non potersi separare da lui. Abbiamo
visto anche tanti luoghi dove dobbiamo insistere a portare la Parola di Dio, il Vangelo:
la famiglia, i mezzi di comunicazione, la grandi sacche di povertà nel mondo, cioè
quei luoghi dove la politica dev’essere evangelizzata; l’economia… sono tanti luoghi,
tanti areopaghi che dobbiamo evangelizzare perché questi luoghi sono quelli dove si
decide tutto sull’uomo. D. - Non è più una questione geografica,
dove andare in missione: sono i luoghi in cui, nei diversi Paesi, le persone, le famiglie
vivono… R. - Penso che il luogo principale sia l’uomo. La missione
ad gentes, oggi, è ovunque. Anche i Paesi evangelizzati da secoli hanno bisogno
di riscoprire Cristo. Le Chiese giovani, i popoli giovani hanno bisogno di riscoprire
Gesù Cristo, e dunque non si tratta più di territori ma dobbiamo andare all’uomo che
dobbiamo riportare a Dio. Oggi, l’uomo vive senza Dio, o vuole vivere senza Dio. Eppure
ha bisogno di Dio, perché senza Dio non possiamo vivere. Dunque, esistono oggi territori
in cui portare il Vangelo, ma io penso che oggi sia l’uomo il luogo più importante. D.
- E ciò riguarda la formazione dei sacerdoti ma anche delle comunità cristiane, di
ogni cristiano che diventa missionario... R. - Ogni cristiano
dev’essere formato perché riscopra che il suo battesimo lo rende missionario: ricevere
Cristo nel suo cuore vuol dire portarlo agli altri. E’ importante dunque la formazione
nei seminari, ma anche la formazione di tutto il popolo di Dio. Vuol dire dare a ciascuno
la possibilità di conoscere la Parola di Dio, di conoscere la Bibbia. Non soltanto
conoscerla a livello intellettuale, ma cercando di vivere la Parola di Dio nella sua
vita, nel suo impegno, nella sua famiglia e così via. D. - In
questi due giorni, avete analizzato anche qualche situazione in particolare, dove
più urgente dev’essere l’impegno anche vostro, come Congregazione? R.
- Sì, noi ci occupiamo soprattutto dell’Africa, dell’Asia e dell’Oceania, di una buona
parte dell’America Latina - cioè, di quei Paesi giovani nella cristianità - per quanto
riguarda sostanzialmente la formazione dei sacerdoti, dei catechisti, perché il catechista
è veramente l’appoggio più importante per il missionario. Quindi, impostare in questi
Paesi una formazione più profonda, non soltanto intellettuale, ma spirituale dei catechisti;
e poi anche i seminari: i seminaristi devono essere non soltanto esperti, ma persone
che hanno scoperto Cristo. Non bisogna fare del sacerdozio una professione, ma veramente
un impegno con Cristo che mi invia a portare il suo amore altrove: agli uomini. Inoltre,
non abbiamo dimenticato le Chiese orientali: il cardinale Sandri ha insistito affinché
non dimenticassimo, nel nostro documento finale, di toccare anche questa Chiesa importante,
quella orientale.