Il commento di mons. Giampietro Dal Toso sulla recente plenaria del Pontificio
Consiglio “Cor Unum”
Si è conclusa sabato scorso la 28.ma plenaria del Pontificio Consiglio Cor Unum,
l'organismo vaticano istituito da Papa Paolo VI nel 1971 allo scopo di coordinare
le iniziative delle istituzioni caritative cattoliche. L’assemblea, presieduta dal
presidente del dicastero, il cardinale Paul Joseph Cordes, si è svolta a Roma sul
tema "Percorsi formativi per gli operatori della carità". Per l'occasione erano rappresentate
le diocesi, le Caritas, le Organizzazioni internazionali di aiuto e di assistenza
dai cinque continenti. Al sottosegretario di Cor Unum, mons. Giampietro
Dal Toso, Roberto Piermarini ha chiesto cosa è emerso nella plenaria da
parte dei responsabili delle attività caritative della Chiesa:
R. - E’ emersa
una varietà di impegno nel campo della formazione: il tema era, appunto, quello dei
percorsi formativi. Ci siamo immediatamente resi conto della diversità delle situazioni
sia geografiche, che storiche, che culturali e che questo comporta anche una notevole
diversità di approccio al problema della formazione. Ci sono poi diversi ambiti di
lavoro e quindi diversa è anche la formazione - ad esempio - di un manager in un organismo
caritativo rispetto alla formazione di chi opera concretamente in un Paese del terzo
mondo. La prima cosa di cui ci siamo resi immediatamente conto è che il tema formazione
ha diverse variabili. Questo, però, non significa che non si possano trovare dei punti
fondamentali, che valgano in genere per chiunque operi all’interno di un organismo
cattolico di aiuto.
D. - Quali questi punti fondamentali
toccati dalla plenaria?
R. - Devo dire, ed anche
con grande soddisfazione, che in diversi interventi nel corso della plenaria è emerso
che c’è un orizzonte comune nel quale ci muoviamo ed è la testimonianza cristiana
e che questa testimonianza cristiana si misura su Cristo. Dunque, tutti i nostri operatori
sono chiamati a maturare nella fede e anche a maturare un incontro personale con Cristo,
affinché la loro testimonianza sia pienamente cristiana. E proprio per rispondere,
non solo ai bisogni immediati - che sono certamente importanti ed che è necessario
affrontare - ma anche per raggiungere le profondità del cuore dell’uomo, che chiede
di essere amato per come è, è necessario passare attraverso una testimonianza cristiana
e trasmettere l’amore che Dio ha per ogni uomo. Su questo orizzonte, verso il quale
dobbiamo muoverci, si è trovato un consenso - credo - unanime.
D.
- Nel campo della carità cosa può offrire in più la fede?
R.
- Io credo proprio questo. Sono stato colpito dal discorso del Santo Padre che diceva
che proprio l’incontro con Cristo dona lo Spirito Santo, trasforma il cuore dell’uomo
e lo rende sensibile anche ai bisogni dell’altro. Credo che questo sia un punto cruciale
per ogni cristiano sia che lavori in un organismo caritativo, sia che lavori come
volontario, sia anche per la sua vita cristiana quotidiana. Essere raggiunti dall’amore
di Dio significa lasciarsi cambiare il cuore per diventare sensibili ai bisogni di
chi ci sta vicino.
D. - Nel suo discorso alla Fao,
Benedetto XVI ha toccato il tema della cooperazione per sconfiggere la fame. Questo
aspetto quanto coinvolge le agenzie cattoliche caritative legate a Cor Unum?
R.
- Ovviamente, il tema della fame è un tema che ci sta molto a cuore e che ci vede
impegnati in prima linea a combattere la fame. Come diceva ieri il Santo Padre, è
drammatico il fatto che anche nel mondo moderno, pur avendo tanti mezzi a disposizione,
il problema resti e riguardi soprattutto un problema di distribuzione, come è stato
ampiamente rilevato: il cibo ci sarebbe, ma non raggiunge tutti. Per quanto riguarda
i nostri organismi, ovviamente, rispondono alla necessità concreta: il problema della
fame non è solo un problema di mancanza di cibo, ma molte volte è anche legato ad
una mancanza di acqua, mentre altre volte è legato ad una mancanza di competenze tecniche
per l’agricoltura e in altri casi ancora è legato ad una mancanza di denaro da investire
in acquisizioni di competenze specifiche o di attrezzature. In base alla situazione
si cerca, quindi, anche di dare una risposta. E’ emblematico, in questo senso quando
- dopo la visita di Giovanni Paolo II nei Paesi del Sahel nel 1984 - si decise di
istituire la Fondazione Giovanni Paolo II per il Sahel proprio per riuscire ad andare
incontro ad un problema che era quello dell’acqua, cercando di dare quelle risorse
idriche che facilitassero la coltivazione ed anche la produzione di beni da mangiare.
Non posso poi sottacere tante altre iniziative che ci sono in questo settore, come
quella del Banco alimentare che opera anche in Italia, che raccoglie il cibo e lo
distribuisce a persone che non sono più in grado di comprarlo. Ricordiamo che il problema
della fame purtroppo non riguarda solamente i Paesi in via di sviluppo, ma attualmente
riguarda alcune fasce deboli di popolazioni anche nei nostri Paesi occidentali.