Sciopero della fame in Italia dei malati dei sla, abbandonati dallo Stato
Uno sciopero della fame per abbattere il muro dell’indifferenza: è la drammatica forma
di protesta messa in atto, nei giorni scorsi, da alcuni malati di Sla, Sclerosi Laterale
Amiotrofica, per protestare contro la mancanza di una degna assistenza domiciliare
a questi malati in Italia. Lo sciopero della fame, iniziato il 4 novembre scorso,
è stato interrotto due giorni fa quando il viceministro alla Salute, Ferruccio Fazio,
ha annunciato la convocazione di una riunione straordinaria della Consulta per le
malattie neuromuscolari, tra cui anche la Sla. Ma sulle ragioni della protesta ascoltiamo
l’intervista di Fabio Colagrande a Salvatore Usàla, 56 anni, malato
di Sla, tra i promotori dello sciopero, che per parlare utilizza un computer:
D. – Buongiorno,
professor Usàla, grazie per aver accettato il nostro invito…
R.
– Buongiorno a lei, per me è un piacere. Grazie a voi.
D.
– Vuole spiegarci brevemente perché voi, malati di Sla, avete iniziato questo sciopero
della fame?
R. – In Italia vige un clima di ipocrisia
dilagante. Siamo la settima potenza mondiale e lasciamo i malati gravissimi soli con
le famiglie e con la loro disperazione. Bisogna purtroppo fare dei gesti eclatanti
per farsi notare ed avere delle risposte.
D. – Siete
soddisfatti della risposta del governo?
R. – Soddisfatti
è una parola grossa. Aspettiamo fiduciosi che l’apertura del ministro Fazio si trasformi
ora in concretezza. D. – Vuole ricordarci di che tipo
di assistenza ha bisogno un malato di Sclerosi laterale amiotrofica?
R.
– Un malato Sla ha bisogno di una assistenza che dipende dall’ingravescenza della
malattia. Nella fase avanzata, quando per vivere si dipende dal respiratore, c’è bisogno
di una persona vigile e preparata 24 ore al giorno.
D.
– La cura e il rapporto domiciliare sono per voi la condizione ideale, non è vero?
R.
– Niente può sostituire il calore, l’affetto e l’amorevolezza dei tuoi cari. Vivere
in un centro è come essere animali in gabbia.
D.
– Quali sono le maggiori difficoltà dei familiari?
R.
–Il problema maggiore è il carico fisico e psicologico, che non ti lascia mai tranquillo.
Le giornate sono pesanti e l’accumulo di fatica e stress crea danni irreparabili.
D. – In Sardegna, dove lei vive, che tipo di assistenza
è prevista per legge?
R. – In Sardegna siamo relativamente
fortunati. Io ho dieci ore di assistenza, ma le altre 14 ore ho soltanto mia moglie,
che è sola. E’ uno sfinimento progressivo, ma inesorabile.
D.
– E nel resto d’Italia?
R. – L’assistenza è a macchia
di leopardo: in Sicilia, ad esempio, c’è lo zero assoluto; in Piemonte, due ore la
settimana; e, la ricca Lombardia, cinque ore settimanali, più un assegno di 500 euro
al mese. La situazione è desolante. C’è tanto da fare.
D.
– Professore, lei ha scritto che la preoccupa più la mancanza di linea adsl che una
notte insonne: cosa intendeva?
R. – La comunicazione
è vita. Senza internet mi sento un pesce fuor d’acqua. La mia vita è in rete.
D.
– Ha scritto anche che questa malattia le ha fatto riscoprire i valori della vita.
In che senso?
R. – La solidarietà, che prima vedevo
come un valore astratto, ora per me rappresenta la ragione della vita stessa. Per
questo motivo ho intrapreso questo cammino di lotta. La mia vita non mi appartiene
e la dedico alla ricerca di giustizia sociale.
D.
– Professor Usàla, lei crede che nell’opinione pubblica ci sia ancora troppa indifferenza
nei confronti di chi come voi è affetto da malattie così gravi ed invalidanti?
R.
– Viviamo in un’epoca in cui trionfa l’individualismo e l’indifferenza. C’è tanto
da fare, ma sono certo che lanciare messaggi d’amore, di solidarietà, di civiltà sia
utile e alla lunga sia anche premiante.
D. – La
ringraziamo per essere stato con noi!
R. – Grazie a voi
e un caro saluto agli ascoltatori.