Anno sacerdotale: preghiera e scrittura. La testimonianza del giornalista don Angelo
Magnano
Preghiera e scrittura: due vocazioni che hanno segnato la vita di don Angelo Magnano,
sacerdote e giornalista di Savona. La passione per la notizia e per la vita consacrata
sono, infatti, sbocciate in lui sin da ragazzo. Dopo i primi articoli scritti sui
banchi di scuola, don Angelo ha lavorato per il quotidiano “L’Eco di Bergamo”. Quindi,
l’approdo all’Università, la laurea in Lettere e la chiamata al ministero sacerdotale.
Due strade che oggi il religioso porta avanti insieme, dirigendo l’Ufficio regionale
per le comunicazioni sociali della Liguria, il mensile diocesano “Il Letimbro” e la
comunità parrocchiale di San Francesco di Paola-San Lorenzo a Savona. Al microfono
di Isabella Piro, ascoltiamolo raccontare come si conciliano la vocazione sacerdotale
e quella giornalistica:
R. – Il giornalismo
abitua ad uno stile essenziale, conciso, abbastanza diretto nel linguaggio e questo
nel fare, ad esempio, le omelie mi ha molto aiutato perché se c’è un difetto spesso
delle omelie di noi preti è quello di essere un po’ verbose, prolisse. Invece nel
giornalismo uno è abituato ad essere molto diretto. Anche nello scrivere, chiaramente,
perché penso che lo scrivere aiuti ad elaborare meglio ciò che si vuol dire e, quindi,
aiuta anche nel ministero. D. – Benedetto XVI ricorda sempre
l’importanza dei mezzi di comunicazione sociale per l’evangelizzazione. Come mettete
in pratica questo insegnamento? R. – Credo che ogni curia dovrebbe
dotarsi dello strumento dell’ufficio stampa perché è un modo per far sentire la voce
della Chiesa negli organi di stampa cosiddetti laici. Io vedo che più uno interagisce
con competenza e professionalità con questi organi tanto più ottiene anche spazio. D.
– Come è nata invece la sua vocazione alla vita sacerdotale? R.
– E’ maturata soprattutto negli anni dell’università. Dopo il Liceo, io ho fatto Lettere
a Genova e durante quegli anni ho maturato questa scelta. Direi che sono tre i fattori
in gioco: un’esperienza forte di gruppo giovanile, il servizio caritativo e una direzione
spirituale, e chiaramente una vita di preghiera che era già iniziata prima di entrare
in seminario. D. – Cosa ha dato la vocazione sacerdotale alla
sua professione giornalistica? R. - Forse più che essere prete
è l’essere cristiano che mi orienta anche nel dirigere il mensile e nel dare una certa
attenzione a determinati temi che magari la stampa quotidiana ignora. Un’attenzione
ai più deboli e a certe realtà che hanno poca voce. D. - Se
lei dovesse dare un consiglio ad un giovane che volesse intraprendere la sua duplice
strada, appunto quella di sacerdote e giornalista, quale consiglio darebbe? R.
– E’ chiaro che a un giovane che intraprende un cammino presbiteriale darei certi
consigli: soprattutto, di curare molto la vita comune nel rapporto con gli altri preti,
nel rapporto con i poveri, nella vita di preghiera. Ad un futuro giornalista darei
altri consigli che comunque vanno sempre nella direzione analoga che è quella del
rispetto della carità verso gli altri, perché penso che anche il giornalismo sia una
forma di carità verso gli altri se è vissuto bene e non con l’ottica di trasformare
le persone in carne da mettere nel tritacarne come purtroppo spesso è oggi: un giornalismo
che non ha nessun rispetto per la persona. Secondo me anche un giornalista che vuole
essere cristiano dovrebbe mettere insieme questi due aspetti, questa carità vissuta
nella dimensione pastorale e nella dimensione professionale. D.
- Su quali principi si dovrebbe basare, quindi, un giornalismo etico per definirsi
tale? R. – Da un punto di vista cristiano direi quelli del Vangelo.
Poi sono sempre convinto che certi valori vanno anche al di là del Vangelo, cioè possono
essere condivisi anche da chi ha un approccio laico, non per forza confessionale. D.
- Se tornasse indietro rifarebbe la stessa scelta di vita sacerdotale? R.
– Certamente! Anche perché la mia prima fondamentale attività è quella di essere parroco
per cui gran parte della mia vita si spende in parrocchia e non tanto nel giornalismo.
Lo rifarei perché il cammino in questa realtà mi ha dato molto e mi ha permesso di
crescere davvero tanto; essere sacerdote è un grande dono che io ricevo prima di tutto
dagli altri. E’ vero che il sacerdote è un dono per gli altri però io penso anche
a quanto ricevo dalle persone che incontro, dalle esperienze che vivo, e credo che
non ho nessuna intenzione di cambiare strada. Anzi mi sembra proprio di volerla riconfermare
giorno per giorno. D. – Don Angelo, qual è il suo auspicio per
l’anno sacerdotale in corso? R. – Intanto, che aiuti i sacerdoti
un po’ in crisi, un po’ in difficoltà a rimotivare il loro cammino e poi per la mia
povera diocesi di Savona l’auspicio è che porti qualche nuova vocazione, perché è
un periodo non di grande fioritura.