"2012": film, campione di incassi, nel filone catastrofico di un'umanità persa nei
suoi mali
E uscito sugli schermi italiani, primo negli incassi mondiali del fine settimana con
oltre 170 milioni di dollari, 2012, l’ultimo catastrofico film di Roland Emmerich
che prende spunto dal calendario Maya per raccontare la fine del mondo. Uno spettacolo
di grandi proporzioni, ricco di incredibili effetti speciali, che denuncia il peccato
dell’umanità anche nel gestire gli ultimi tempi e la salvezza, spogliata di ogni dimensione
biblica ed escatologica. Il servizio di Luca Pellegrini:
A differenza
dei Maya, con il loro complesso calendario a cicli, la Bibbia non ha date certe sulla
fine del mondo: sappiamo, come riferisce Gesù nel Vangelo della liturgia odierna,
che la venuta del “Figlio dell’uomo” non è iscritta in nessun calendario terreno e
nessuno può presumere di conoscerne il giorno e l’ora, eccetto il Padre. Una sola
cosa è certa: “Il Signore è venuto, viene e verrà” e “Noi attendiamo il suo ritorno”.
Così i millenarismi sono banditi dalla visione cristiana del tempo e dalla sua escatologia,
mentre, invece, pullulano nella letteratura e nel cinema. Con l’avvicinarsi di una
data fatidica, il 20 dicembre del 2012, giorno in cui misteriosamente il computo del
tempo di quella antica civiltà si arresta, Roland Emmerich, regista tedesco emigrato
a Hollywood ed esperto in kolossal spettacolari, nei quali la povera terra è messa
a repentaglio vuoi da alieni cattivi, come in Indipendence Day, vuoi da glaciazioni
devastanti (era L’alba del giorno dopo), completa ora la sua “trilogia delle catastrofi”
con la più spettacolare e devastante di tutte: 2012, in cui la fine del mondo viene
immaginata e raccontata con dovizia di effetti speciali e di dollari. La terra si
liquefa all’interno e trema in superficie: tutto si sfalda e sgretola, la città di
Los Angeles, il Cristo di Rio, la Cappella Sistina e San Pietro, un monastero buddista,
il parco di Yellowstone, con vulcani che eruttano meteoriti infiammate, porzioni di
terra che scivolano nell’oceano, onde di oltre un chilometro di altezza che si riversano,
immancabilmente, sulla Casa Bianca e si insinuano possenti tra la catena dell’Himalaya.
Il ritmo del racconto è decisamente sostenuto, frenetico e molto accattivante: lo
scrittore depresso John Cusack scopre casualmente come stanno andando davvero le cose
e soprattutto come finiranno e cerca con ogni mezzo di salvare la famiglia tentando
di raggiungere le enormi arche pronte ad accogliere una parte dell’umanità, selezionata
dalla classe dirigente in base al più disgustoso ed ipocrita dei criteri, ossia la
ricchezza. Chi se lo può permettere, infatti – e sono principalmente milionari americani,
oligarchi russi e principi arabi – avrà una chance, ma il resto dell’umanità, tenuto
prudentemente all’oscuro di tutto, dovrà inevitabilmente soccombere. Non solo contro
i cataclismi, dunque, combatterà l’eroe improvvisato e coraggioso, ma contro l’ingiustizia,
la falsità, l’arroganza del potere, che accompagnano così l’umanità fino agli ultimi
istanti della sua esistenza. Poi l’onda immane arriva davvero, le arche galleggiano
e corrono verso il nuovo Ararat, questa volta emerso in Sud Africa: ricomincerà forse
tutto daccapo, aspettando una nuova catastrofe e il cinema il probabile seguito.