Convegno sulla Caritas in veritate: intervista con il ministro Belloni
Si è svolta nei giorni scorsi presso la Pontificia Università Gregoriana una tavola
rotonda sui modelli di sviluppo. Al centro del dibattito l’enciclica “Caritas in veritate”
di Benedetto XVI. Dottrina sociale della Chiesa, fondamenti antropologici dell’enciclica,
ruolo della finanza, umanesimo integrale sono alcuni tra i temi toccati dai vari oratori.
Tra di essi anche il ministro Elisabetta Belloni, che guida la Direzione generale
per la Cooperazione allo Sviluppo del Ministero degli Esteri italiano. Alla vigilia
del Vertice Mondiale sulla Sicurezza Alimentare organizzato dalla Fao a Roma, Lucas
Duran l’ha intervistata:
R.– E' forse
troppo avere la presunzione di dire che noi abbiamo il giusto modello. Credo che però
l’occasione di questo convegno imponga a tutti noi una riflessione di scelta; dobbiamo
essere consapevoli che non si può fare cooperazione senza aver scelto un modello e
una strada da perseguire. Quindi l’enciclica ci apre innanzitutto un percorso. Ci
dice in primo luogo che dobbiamo scegliere assumendoci la responsabilità della scelta
in termini di sviluppo. Io sono convinta che la cooperazione debba essere sempre più
rivolta al tema dell’integrazione: integrazione a livello di individui, di famiglia,
di popoli in un’ottica che dovrebbe sempre più quella di vedere nello scenario internazionale
un interesse comune ad essere più coesi e più coordinati. E’ un tema difficile, ma
credo che tutti noi abbiamo il dovere di scegliere responsabilmente come il Papa ci
richiama a fare.
D. – Il mondo cattolico e il mondo
dello sviluppo: quale, secondo lei, il punto d’incontro?
R.
– Io credo che, facendo un discorso istituzionale come io sono tenuta a fare, si debba
prescindere da un discorso di credo religioso. Ma se ci si riflette in maniera approfondita,
si scopre che in realtà il percorso dello sviluppo è assolutamente compatibile con
un credo religioso che riporti alla legge naturale dell’uomo tutto il percorso. Quello
che voglio dire è che il rispetto dei diritti umani e della persona nella sua integrità
,e quindi della famiglia umana nella sua integrità, è un percorso che può essere condiviso
da tutte le civiltà e da tutti gli uomini purché lo si faccia – come dice il Papa
– sulla base di un principio di verità. La verità, cioè, che mira a salvaguardare
le relazioni interpersonali su di una base di riconoscimento profondo dei diritti
fondamentali.
D. – Sta per incominciare a Roma il
vertice mondiale sulla sicurezza alimentare. Come d’abitudine, alla vigilia di questi
grandi incontri, nasce e si sviluppa la polemica sull’utilità o meno di questi grandi
vertici, anche costosi. Quale è la sua opinione?
R.
– E’ un dibattito molto antico quello dell’utilità dei vertici o dei grandi convegni
o raduni di Stati o di diversi soggetti che si occupano di cooperazione. Io credo
che vi siano numerosi meriti nei vertici. Innanzitutto, quello che mettere apertamente
sul tavolo la problematica è un modo come un altro per obbligare le classi dirigenti
a prendere atto delle esigenze che derivano – in questo caso specifico – dallo sviluppo.
Il semplice fatto di riunirsi implica poi il riconoscimento dell’esigenza di garantire
coerenza nelle politiche di sviluppo e quindi uno stimolo ad un maggiore coordinamento.
Coordinamento che, naturalmente, può avere successo soltanto nella misura in cui questo
sia basato sul rispetto delle rispettive culture.