Rapporto 2009 della Campagna Internazionale contro le mine
Morire di guerra anche dopo molti anni dalla fine dei conflitti. E’ quanto denuncia
il Rapporto 2009 sulla presenza delle mine nel mondo, reso noto recentemente dalla
Campagna Internazionale contro questi micidiali ordigni. Il Trattato di Ottawa del
1999 ha bloccato la produzione di questi armamenti, soprattutto delle “cluster bombs”,
le famigerate “bombe a grappolo”. Ma il pericolo viene da quelle armi ancora posizionate
nel terreno. Tutti i Paesi, che hanno vissuto il dramma della guerra negli ultimi
decenni vivono quest’emergenza, che provoca elevatissimi costi sociali a causa dei
danni alla persona e per il blocco delle attività produttive sui territori ancora
da bonificare. Su questi aspetti Giancarlo La Vella ha intervistato Giuseppe
Schiavello, presidente della Campagna Internazionale contro le Mine:
R. – C’è
da mettere in protezione tutte quelle popolazioni obbligate a convivere con le mine
ed altri ordigni inesplosi come le cluster bomb; poi c’è da preoccuparsi dell’assistenza
alle vittime ed anche del loro reinserimento socio-economico. Ad esempio, si devono
fornire protesi ai civili colpiti dalle mine. Un bambino che salta su una mina avrebbe
bisogno di una protesi ogni cinque mesi, perché ovviamente, crescendo, la protesi
applicata non è più idonea. Ma in Paesi dove è già difficile avere un cerotto, è a
volte impossibile reperire una protesi ogni quattro mesi per ogni bambino mutilato!
In questi Paesi c’è poi da considerare che la disabilità spesso viene vista come una
vergogna; oltre al fatto di aver subito un’amputazione, il non poter contribuire al
sostentamento della propria famiglia crea veramente stati di prostrazione, di frustrazione
e di emarginazione che non possiamo neanche immaginare.
D.
– Chi si deve impegnare per bonifica dei territori ancora infestati dalle mine?
R.
– Tutti i Paesi che hanno sottoscritto il Trattato di Ottawa si impegnano a liberare
dalle mine i propri territori entro 10 anni, o comunque, a metterli in sicurezza.
E già questo non è semplice, perché la bonifica umanitaria richiede grandi quantità
di fondi. Anche tutti gli Stati ex-produttori, che hanno firmato il Trattato, si impegnano
a sostenere questi Paesi nella bonifica. Per cui fa parte anche dei progetti di cooperazione
destinare dei fondi a questo tipo di attività.
D.
– Quali le zone che in questo momento subiscono ancora danni da queste armi?
R.
– Tutti i Paesi interessati da conflitti recenti e anche passati, dove sono state
utilizzate mine anti-persona. E’ incredibile, ad esempio, pensare che la Cambogia,
che è un Paese che ormai non è più in guerra da circa 50 anni, ancora ha vittime da
mine anti-persona o anche da cluster bombs. L’efficacia di questi ordigni dura quindi
per almeno mezzo secolo dal momento in cui sono state posizionate. Inoltre, esse costituiscono
un blocco alle attività produttive, perché spesso si tratta di Paesi a vocazione agricola
o pastorizia; non poter accedere a campi, pozzi e risaie crea un blocco di fatto a
qualsiasi sviluppo. E questo è un fatto gravissimo che colpisce spesso Paesi dove
l’indice di povertà è già molto alto.
D. – Qual è
il costo della bonifica?
R. – Immaginate che costruire
una mina costa poche decine di dollari, mentre poi la bonifica per ogni mina può costare
– nella media – fino a 1.000, 1.500 dollari …